Matteo Messina Denaro è morto. Il boss di Cosa nostra, capo della famiglia mafiosa di Castelvetrano e ritenuto uno dei mafiosi più pericolosi al mondo, è deceduto nell'ospedale de L'Aquila, dove era ricoverato a seguito delle complicazioni del grave tumore al colon che lo aveva colpito.
Come già in molti avevano intuito al momento del suo clamoroso arresto, lo scorso 16 Gennaio 2023, dopo una latitanza durata quasi trent'anni, la malattia ha lasciato a Matteo Messina Denaro pochi mesi di vita.
Matteo Messina Denaro, noto anche con i soprannomi “U Siccu” e Diabolik era nato a Castelvetrano il 26 Aprile 1962, aveva 61 anni.
Capo indiscusso del mandamento di Castelvetrano e della mafia nel Trapanese, era considerato uno dei boss più importanti di tutta Cosa nostra. Difficile condensare in poche righe la sua biografia criminale (segnaliamo, in questo senso, la lungo lavoro di inchiesta svolto dal peraltro direttore di Tp24, Giacomo Di Girolamo, con il suo libro "L'invisibile" e con il successivo "Matteo va alla guerra").
Matteo Messina Denaro aveva un fratello e quattro sorelle: si va da Salvatore Messina Denaro, fratello maggiore del capo di Cosa nostra, ad Anna Patrizia Messina Denaro, la sorella più piccola, passando per Bice Maria, Giovanna e Rosalia. Un gruppo di familiari, a cui vanno aggiunti cognati e nipoti del boss, sui quali, secondo gli inquirenti, Matteo Messina Denaro spesso aveva potuto contare, sia nel corso della sua ascesa al potere che durante la latitanza, anche attraverso i famosi pizzini.
Messina Denaro inizia la scalata criminale nel 1989 quando viene denunciato per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. «Sono il quarto di sei figli e sono l’unico che ha continuato l’attività di mio padre dedita alla coltivazione dei campi», dettò a verbale Matteo, negli uffici della Squadra mobile di Trapani, il 30 giugno 1988, ascoltato come testimone nell’indagine per un omicidio. Omettendo di aggiungere che aveva proseguito l’attività di “don” Ciccio Messina Denaro anche nel settore dei rapporti mafiosi.
A soli 20 anni è il pupillo di Totò Riina. «Figlio d’arte» - il padre, «don Ciccio», infatti, fu capo della mafia trapanese - ha trasformato Cosa Nostra strappandola alla tradizione del feudo per catapultarla nel mondo delle imprese.
In particolare, Matteo divenne fondamentale nel far nascere il sodalizio tra il Capo dei Capi e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.
E' stato un uomo chiave del biennio stragista 1992-1993. Era ritenuto vicinissimo a Totò Riina e, quindi, conoscitore di oscuri ed importanti pezzi della possibile trattativa Stato-mafia.
Tentò di uccidere, mitraglietta in pugno anche il vicequestore Rino Germanà. Strangolò con le proprie mani Antonella Bonomo, la compagna del boss di Alcamo Vincenzo Milazzo e nel 1995 ordinò l' assassinio dell' agente della polizia penitenziaria Giuseppe Montalto, per dare un segnale ai dannati del 41 bis.
Rappresentante di una nuova generazione di uomini di mafia, che oppone al modello familista tradizionale un’attitudine al consumo vistoso, è stato arrestato nel gennaio 2023, dopo trent’anni di latitanza, all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo, dove era in cura sotto falso nome, e trasferito in un carcere di massima sicurezza; nel marzo successivo è stata arrestata anche la sorella Rosalia (n. 1955), accusata di associazione mafiosa.
Nella sua carriera criminale ha collezionato decine di ergastoli. Oltre a quelli per le bombe del Continente, ha avuto il carcere a vita per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito rapito da un commando di Cosa nostra, strangolato e sciolto nell'acido nel 1996 dopo quasi due anni di prigionia.
Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989, l'ultima condanna per mafia è a 30 anni di reclusione in continuazione con le precedenti. Il tribunale di Marsala per la prima volta gli ha riconosciuto la qualifica di capo nel 2012. E una pioggia di ergastoli il boss li ha avuti anche nei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su una serie di omicidi di mafia commessi tra Alcamo, Marsala e Castellammare tra il 1989 e il 1992.