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26/02/2024 06:00:00

Quella strage alla funivia di Erice: quattro morti

Tornavo dalla scuola e non ho trovato nessuno a casa per cui ho aspettato. Poi ho saputo e ho visto mio padre morto assieme ai suoi compagni”. Roberto racconta quel lontano 24 febbraio 1954 con gli occhi lucidi, perché il nodo in gola c’è sempre, anche dopo 70 anni.

La tragedia della Funivia di Erice
Roberto Simonte all'epoca dei fatti ha 10 anni, suo fratello Ninni quattro, quando papà Mario muore sul luogo di lavoro a 34 anni. Con lui altri tre operai. Quel mercoledì, dopo la pioggia dei giorni precedenti, Erice era avvolta da una nebbia fittissima. Il giornale ingiallito dell’epoca racconta che la squadra era impegnata nella costruzione della Funivia e finita la pausa pranzo, scende nel piano interrato, ancora grezzo. Lì è prevista la sala d’aspetto. Il più giovane di loro ha 17 anni. E’ orfano di padre, non lo ha mai conosciuto ma porta il suo nome: Giuseppe Bellia. E’ di Erice, come papà Mario, che porta anche lui il nome del padre. Compaesano anche Salvatore Ganci di 32 anni, che viene dalla frazione di San Marco, oggi diventata Valderice. Solo uno è di fuori, è di Montelepre: Angelo Amato. “Unna viri to’ figghia!” gli dicono scherzando i compagni di lavoro ad Angelo. Il 26enne è da una settimana diventato padre per la terza volta. Non vede l’ora di tornare a casa. Sono le 13.15 del 24 febbraio 1954, Mario, Giuseppe, Angelo e Salvatore scendono nell’interrato insieme al capo squadra. Ha quasi 40 anni, Pietro Badalucco. Pietro risale la scaletta, giunto in cima, pensando all’ennesimo scherzo, getta una voce ai compagni: “A finite di trantuliare?”. È un attimo. Pietro rimane interrato dalla vita in giù. Si salva per miracolo. Sotto di lui, la morte. La frana, improvvisa, travolge Mario, Giuseppe, Angelo e Salvatore. Due di loro vengono trovati abbracciati l’uno all’altra. “Un manovale verrà trovato nell’atto di collocare la pietra nelle fondamenta. Uno addossato alle pareti”. Pietro Badalucco, unico superstite, non riuscirà più a dormire bene.

Orfani e fratellanza
Quattro morti, quattro famiglie devastate. Processi archiviati per decorrenza dei termini. Dolore su dolore, senza giustizia. Il punto a questa amara storia lo mette 30 anni dopo la tragedia, il Presidente di allora, Sandro Pertini, come ci racconta lo stesso Roberto. Roberto e suo fratello Ninni hanno voluto commemorare i propri cari con una messa a suffragio alla Matrice di Erice. A celebrarla dall'arciprete don Piero Messana. Non lo hanno fatto soli, hanno cercato di rintracciare tutti i familiari delle vittime della frana della Funivia. E ci sono riusciti. Filippa oggi ha 70 anni e vive in Germania. E’ nata nel 1954 a Montelepre. E’ lei l’ultima nata a casa Amato. La madre Sapienza, è poco più che ventenne all’epoca e l’ha partorita da sola. Il marito, è proprio quell’Angelo di 26 anni morto sotto la frana. “Unna viri to figghia!” e il presagio si è avverato. Sapienza, la giovanissima moglie e madre di tre figli, perde il senno. E abbandona Filippa appena nata, lasciandola al convento delle suore. Ora Filippa è stata rintracciata da Roberto e Ninni Simonte, ma non si sono ancora visti. Perché la cultura del ricordo rende gli orfani della tragedia di Erice, fratelli e sorelle.    La targa per le vittime del progresso
"Ad oggi non è stata depositata ancora una targa a ricordo delle quattro vittime. Quattro operai caduti sul lavoro. Né le famiglie hanno mai ottenuto un indennizzo”. È la professoressa Vincenzina Zichichi, memoria storica di Erice, portatrice sana di cultura del ricordo, a parlarne. È anche grazie a lei se si riparla ad oggi di questa storia. Ed è grazie a tutti loro se quattro vittime sul lavoro, quattro vittime del progresso, morti in nome del riscatto di una società post guerra, verranno ricordati da una targa apposta lungo il muretto che divide la Chiesa Madre di Erice dall’ex Funivia.   Anna Restivo