Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
20/03/2024 06:00:00

A Trapani ed in Sicilia ci paghiamo le vacanze con i prestiti? 

 Il faccione sorridente di Nino Frassica, vestito di blu e di rosso, mi aggancia sempre quando prendo la via per tornare a casa. Lui è spiaccicato su una vetrina, e io lo percepisco che mi vuole rassicurare. Al contrario, però, mi inquieta.

Le finanziarie, cioè le agenzie di credito – quelle che mettono in mano ai loro clienti soldi “facili”, da spendere a piacere – spuntano come parietaria agli angoli dei quartieri di provincia. O forse no, perché ho controllato sulle mappe in lungo e in largo, e in tutta la provincia di Trapani di agenzie di credito ce ne sono soltanto diciannove. E allora cosa? Allora facciamo un calcolo. Ogni 100mila abitanti della provincia di Trapani, ci sono 4,41 finanziarie. Per quello stesso bacino di utenza, e cioè sempre i 100mila abitanti di prima, ci sono invece 23 sportelli bancari. Esiste un numero ideale di sportelli bancari? No. Ma teniamo a mente che nella provincia di Reggio Calabria ce ne sono 15; a Bolzano 62. Questi numeri dovrebbero chiarire l’andazzo.

Si parla, nel sud, e in Sicilia in particolare, di desertificazione bancaria. Cioè di quel processo che porta alla chiusura progressiva degli sportelli bancari. In Sicilia ci sono sempre meno banche. E non è un problema solo per chi fa il bancario di mestiere. Ce lo dice anche la fondazione Finanza Etica, in un recente report sull’inclusione finanziaria in Italia: l’assenza di «presidi del credito», quindi delle banche, allontana le persone dall’opportunità di un finanziamento di impatto (come può esserlo un mutuo o un microcredito) mentre le avvicina a «forme spesso rischiose e speculative» di prestito, in altre parole al credito al consumo. Prestiti personali, cessioni del quinto, o anche prestiti finalizzati (quello per comprare la macchina nuova, per esempio) sono, sì, forme di finanziamento, ma destinate all’acquisto di un bene di consumo. Cioè all’acquisto di una “cosa” che si esaurisce nel corso del tempo, che si rompe o passa di moda e che, perciò, non produce valore – ma lo perde.

Ecco, ai siciliani questo meccanismo piace molto, o così pare: secondo Banca d’Italia, il credito al consumo in Sicilia continua a crescere (+6% nel 2022), mentre diminuiscono le richieste di prestito per l’acquisto di una casa e quelle dei mutui di scopo per le imprese. Sono, entrambi, dei dati interessanti. In Sicilia le imprese – specie quelle più piccole – chiedono prestiti perché hanno bisogno di soldi. Non per investire (su un nuovo progetto, sulla loro espansione, etc.) ma per mantenersi, per mantenere i dipendenti, pagarsi i debiti e coprire le spese operative. Stesso discorso per le famiglie siciliane, e in particolare del trapanese: l’Osservatorio prestiti di Trapani e provincia di Facile.it, che raccoglie informazioni sui preventivi, ci mostra una forte esigenza di prestiti liquidità – cioè di soldi che serviranno a finanziarie viaggi e vacanze, matrimoni e cerimonie.

Questo significa che i soldi messi in circolazione dalle banche soddisfano un bisogno temporaneo ma non fruttano. Cioè non producono valore, non contribuiscono allo sviluppo della comunità e del suo tessuto economico. Non si tratta di farci i conti in tasca. È pur vero che emerge un quadro che inqueta, mette ansia?, tanto quanto lo sguardo pressante di Frassica dalla vetrina.

Daria Costanzo