Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
17/05/2024 06:00:00

Trapani, morire di lavoro. Parla la moglie di Gaspare Davì

L ’ultimo sorriso senza ombre di Giovanna Cordaro è impresso nei telefonini che fotografano una festicciola di compleanno del figlio del nipote di Gaspare Davì, suo marito.

Erano tutti dietro ad un tavolo con una grande torta. I bambini, gli zii, i nonni. Tranne Gaspare, marittimo imbarcato su una nave della compagnia GNV. Gaspare era a Napoli. E mentre nella saletta delle feste il coro intonava il tanti auguri a te, a Giovanna arrivava la notizia: Gaspare, a casa, non sarebbe tornato più.

Gaspare Davì è il trapanese morto sul lavoro al porto di Napoli mentre stava lavorando all’imbarco dei camion su un traghetto della Grandi Navi Veloci. E' uno dei tanti, troppi, morti sul lavoro. E abbiamo voluto incontrare sua moglie, Giovanna, per provare a capire: cosa succede quando un padre di famiglia esce da casa e non torna più, cosa diventa la vita per chi resta, per i figli. Come si può trovare una risposta a tutto questo.

 

 

 

 

«Di quel maledetto 23 marzo ricordo ogni istante - ci racconta - Sono momenti che non potrò più rimuovere dalla mia mente. Ero coi miei due figli ad una festa di compleanno e ho ricevuto la chiamata di mio fratello che non riusciva a dirmi l’indicibile e cioè che mio marito Gaspare era morto schiacciato al porto di Napoli, da una motrice che stava salendo su una nave in retromarcia. Lui mi diceva: torna a casa perchè devo darti una notizia ma non mi spiegava il motivo, così decisi di rimanere per il taglio della torta insieme ai bambini».

Poi è successo tutto in fretta: la telefonata della cognata che non riesce a dirle nulla se non a ripetere "ti voglio bene", "ti voglio bene", "ti voglio bene", perché parole non ce ne sono di fronte al dolore che non ha nome. Ed il messaggio da parte dell’armatore, che Giovanna non aveva letto nel trambusto di quella sera di festa e l’arrivo a casa, dove in tanti sapevano già della notizia che correva sui social più veloce di qualsiasi pensiero.

 

 

Giovanna ha un figlio in seconda media e una figlia in terza elementare e non ha avuto nemmeno il tempo di prepararli alla notizia che il loro padre, questa volta, non sarebbe più tornato a casa: «Lo hanno saputo quando siamo arrivati da mio fratello. Già tutti piangevano». Lei non lavora e lo stipendio del marito serviva a mantenere tutta la famiglia: «Mio marito è sempre stato un marittimo. Prima sui pescherecci, ma non guadagnava a sufficienza, poi con le grandi compagnie del mare quando abbiamo deciso di sposarci e stava via mesi interi. Dopo tanti sacrifici stavamo iniziando ad avere una vita più serena dal punto di vista economico poi è successo quello che non augurerei a nessuno».

Giovanna è una donna forte. Racconta con lo sguardo fiero e la voce rotta dalla commozione tutto il dolore che provoca il lavoro che uccide. Racconta del viaggio a Napoli, della disponibilità dimostrata dalla GNV (compagnia per la quale lavorava il marito): «Si sono messi a disposizione e quando siamo arrivati a Napoli ci hanno fatto accompagnare da una persona che è stata molto gentile e disponibile per espletare tutte le incombenze che seguono una situazione del genere».

 

 

Dell’indagine della magistratura non sa nulla: «Ci hanno detto che in questo momento è tutto secretato. So solo che era con un collega più giovane e che stavano facendo salire gli ultimi camion. Uno di questi stava entrando a marcia indietro ed è stato investito e schiacciato. Credo sia morto subito, spero che non abbia sofferto».

È passato un mese e mezzo da quel giorno ma il dolore è ancora vivo «C’è tanta tristezza dentro di me ma ogni mattina mi sveglio e faccio tutto per inerzia. Seguo i miei figli, che mi danno tanta forza e cerco di stare con amici e famiglia.

 

 

 

 

Quando sente di altre morti sul lavoro è come rivivere quei momenti: «Quando vai a lavorare non pensi di non tornare più. Penso alle cinque famiglie di Casteldaccia, ai parenti dell’operaio morto nel parco eolico di Salemi. So che tutti, dopo un po’, rimarranno soli col loro dolore perché alla grande indignazione segue sempre il solito silenzio. Vorrei che si facesse qualcosa per evitare tutte queste morti».

L’intervista si chiude con una riflessione sui due figli, che cresceranno senza un padre: «Quando tra qualche tempo leggeranno questa intervista voglio dire di non dimenticare chi era loro padre. Vostra madre invece è quella che avete sempre visto e che ha cercato di farvi pesare il meno possibile la mancanza di un papà. Spero di poter rivivere quei momenti felici con loro, come quando Gaspare tornava dopo un lungo viaggio».