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17/05/2024 06:00:00

Il caso Iuventa/ 5. La fine di un'inchiesta costata 3 milioni di euro 

 Il 19 aprile 2024, dopo 7 anni tra indagini e udienze preliminari, dopo 3 milioni di euro spesi, vengono prosciolti tutti i 10 imputati nel procedimento contro le Ong e sul sequestro della nave Iuventa a Trapani.

Udienza dopo udienza le accuse crollano. Si capisce che le foto e i video non provavano che la Iuventa fosse un “taxi del mare”. Che le operazioni al largo della Libia non erano in accordo con i trafficanti di esseri umani, ma erano operazioni di soccorso. Che la nave della Ong non trainava le imbarcazioni per restituirle ai trafficanti. Si scopre anche che le testimonianze e le accuse degli ex poliziotti erano infondate. Che inattendibili erano gli stessi ex poliziotti che per proprio tornaconto avrebbero gettato fango sulle Ong. Udienza dopo udienza viene smontata un’inchiesta che è servita soprattutto a far guadagnare punti ai populisti e alle forze di destra alle cui orecchie gli ex poliziotti sussuravano episodi artefatti.

 

Tutti prosciolti
Il gup Samuele Corso emette così la sentenza con la formula perchè il fatto non sussiste. Il non luogo a procedere era stato chiesto dalla stessa Procura di Trapani dopo una inchiesta costata circa tre milioni di euro. Nel procedimento era costituito parte civile il ministero dell’Interno che si è rimesso alla decisione del gup. Salvare vite in mare non è reato.


Un’inchiesta costata 3 milioni di euro
La vicenda è stata seguita dai media di tutto il mondo. Non mancava una giornata di udienza in cui non ci fossero gli inviati di Amnesty International, i volontari di Save The Children davanti al tribunale, media stranieri dalla Germania o dalla Francia. D’altronde, l’accusa era clamorosa, dal momento che per la prima volta, l’equipaggio di una nave delle Ong, i famosi «taxi del mare» (copyright Luigi Di Maio) era stato beccato: non salvava naufraghi, ma si accordava con i trafficanti libici per farsi consegnare direttamente i migranti.
Per arrivare a questa prima conclusione, la Procura di Trapani, allora, ha messo in campo il meglio dell’armamentario investigativo a disposizione: intercettazioni satellitari, geolocalizzazione nel Mediterraneo degli indagati, agenti infiltrati tra i volontari. Nell’entusiasmo di aver scoperto la truffa del secolo, sono stati intercettati anche giornalisti e avvocati (anche lì, poche imbarazzanti scuse in Italia, grande scandalo, invece, nei media esteri). I sette anni di indagine e il procedimento per la richiesta di rinvio a giudizio sono costati 3 milioni di euro alle casse dello Stato.

 

 

Nessuna prova
30 mila pagine di fascicolo, 80 dischi di registrazioni telefoniche, 120 di intercettazioni ambientali, in tutto questo materiale non c’è una sola chiamata tra un esponente delle organizzazioni che si occupano di traffico di migranti e i volontari accusati di aver utilizzato la nave Iuventa come un “taxi del mare”, d’accordo con i criminali.
Il pm che aveva avviato nel 2016 le indagini, Andrea Tarondo (che dopo questa inchiesta si è trasferito in Perù) aveva riempito due armadi di documenti. Saranno i suoi colleghi, quando cercheranno di mettere ordine nella matassa, a trovare via via gli elementi che li porteranno a chiedere l’archiviazione del caso, a cominciare proprio dall’inattendibilità dei testi chiave. Ma mancavano i tracciati delle navi, le comunicazioni ufficiali sui soccorsi: tutti elementi che avrebbero permesso una ricostruzione diversa dei fatti. Già nel 2017, Save the Children aveva messo a disposizione tutto il materiale in suo possesso, che già smentiva le accuse. Eppure si è andati avanti fino ai giorni nostri.

 


Salvare vite non è reato
L’avvocato Alessandro Gamberini, legale della ong tedesca, Jugend Rettet, dopo la decisione del Gip osserva che «questo processo è una delle origini del male, della diffamazione delle ong, spesso accusate di essere complici dei trafficanti». Invece «la formula assolutoria dice che non c’era niente, mancava la condotta materiale. I fatti non sono stati dimostrati e non erano dimostrabili come noi abbiamo sostenuto con richieste di archiviazione alla procura».
Le ong sono pronte a mettere in campo una contro inchiesta, per capire chi ci fosse dietro al tranello.


La nave è ancora al porto di Trapani
La Iuventa sequestrata il 2 agosto 2017 era stata acquistata da un gruppo di attivisti, principalmente tedeschi, riuniti nella ong Jugend Rettet. Dal giugno 2016 alla data del sequestro la nave effettua 175 interventi, assistendo 23mila persone. Dopo che la procura di Trapani emette il fermo, confermato anche in Cassazione, la nave viene trasferita da Lampedusa al porto di Trapani. E abbandonata. La custodia viene assegnata alla capitaneria di porto che non si preoccupa di mantenerla in buone condizioni. Lasciata in acqua viene abbandonata e saccheggiata. Per rimetterla in funzione potrebbe servire fino a mezzo milione di euro. Il gup ne ha disposto il dissequestro e la restituzione a Jugend Rettet ma così non potrà essere usata e qualcuno dovrà rispondere delle condizioni in cui versa.


Si chiude oggi la nostra inchiesta a puntate nella quale abbiamo cercato di ricostruire una delle vicende più lunghe e controverse.

Il processo Iuventa ha sollevato numerose questioni critiche. Innanzitutto, l'utilizzo di metodi controversi da parte delle autorità durante le indagini, come la sorveglianza di attivisti e giornalisti. Inoltre, la natura politica del processo, come sostenuto dalla difesa, che sembrava più un tentativo di criminalizzare le attività di soccorso in mare che una ricerca della verità.

- FINE - 

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