Fermi tutti, c’è una rettifica da fare. Qualche tempo fa scrivevamo su queste pagine che la provincia di Trapani è una delle poche assenti nell’ultimo report periodico del Ministero delle Imprese sulle start up in Italia. E, sì, la provincia di Trapani manca davvero. Ma non per il motivo che pensavamo.
Trapani sparisce dal report perché non è più tra le ultime dieci province per numero di start up. Insomma sparisce per una ragione virtuosa, oscurata però da un’organizzazione delle informazioni che, nel report, lasciava a desiderare.
È sulla scia di questo equivoco che abbiamo conosciuto Enthemo, start up marsalese con un percorso alle spalle che merita di essere approfondito. Perché conoscere Enthemo e la sua storia ci permette di rispondere a una domanda precisa (e che già qui iniziavo a formulare): cosa serve alle start up in Sicilia? La risposta non è così scontata.
Enthemo e il progetto di un turismo digitale
L’idea alla base del progetto Enthemo è semplice, per quanto innovativa. Ce ne parla Antonio Angileri, co-founder della start. «Enthemo nasce quando ci siamo resi conto che non è facile reperire informazioni su attività, eventi e servizi disponibili qui in provincia di Trapani». Nel trapanese, infatti, l’offerta turistica è poco digitalizzata. Una pecca, se vogliamo, di un settore di impresa che qui sull’isola vuole imporsi come segmento di punta.
«Abbiamo voluto sviluppare una piattaforma che potesse aggregare, centralizzare, tutte le informazioni necessarie. La nostra app [scaricabile qui, ndr] digitalizza l’offerta turistica e presenta, in una modalità facilmente accessibile, tutto quello che c’è da fare in zona».
Non solo. Enthemo permette di prenotare un’esperienza (cena al ristorante, pernottamento, giro in barca, giornata al lido, etc.) direttamente sulla piattaforma. Funziona quindi sia come vetrina di offerte che come e-commerce, muovendosi nella direzione dei trend attuali sul turismo, che vedono la prenotazione online come canale primario per acquisire clienti.
Insomma l’app è una soluzione mirata a un’esigenza riconosciuta. Eppure, per uno strano incrocio di circostanze, a pochi mesi dal lancio dell’app i soci fondatori stanno già valutando una rielaborazione del piano del business. Il che significa, in parole povere, che presto o tardi punteranno su un altro pubblico e su un altro territorio – lasciandosi alle spalle l’esperienza trapanese. Enthemo, come forse molte altre start up, nella provincia di Trapani comincia a sentirsi stretta.
La resistenza di imprese e pubblica amministrazione
«La digitalizzazione incontra ancora molta resistenza, da queste parti». È una parola – resistenza, appunto – che Angileri mi ripete più e più volte al telefono, perché è in effetti il nodo centrale di questa storia. Oggi, mentre insieme ai suoi soci è impegnato nella fase più delicata dopo il lancio dell’app, cioè quella dell’ampliamento del pubblico, Antonio Angileri si trova a scontrarsi con un atteggiamento di scetticismo nei confronti del “nuovo”, atteggiamento che è poi l’ostacolo maggiore in un’economia che ha bisogno di crescere.
«La piattaforma», spiega «è gratuita sia per i fruitori, cioè i turisti e i residenti, che per gli organizzatori, vale a dire chi vuole promuovere la propria offerta. Alcuni servizi sono a pagamento ma, di base, aprire una vetrina su Enthemo non comporta alcun costo. Nonostante questo, lottiamo continuamente con la diffidenza degli organizzatori, che sembrano non avere consapevolezza dell’impatto positivo del digitale sul risultato economico».
Una scarsa consapevolezza che, in alcuni casi, si traduce in una chiusura che di certo non fa bene alle start up (né tantomeno allo spirito di chi le ha fondate).
Del resto, una start up innovativa – specie se sviluppata nel territorio per il territorio – ha bisogno di un pubblico che sia pronto a accogliere l’innovazione. Siamo portati a pensare alle start up come centri di tecnologia avanzata dentro cui si costruisce il futuro del mondo (e della Sicilia, nel caso specifico) e talvolta è anche vero. Ma quanto spazio diamo all’innovazione, qui al Sud? Mentre dalle istituzioni piovono contributi per sviluppare idee di business innovative, la terra che li accoglie si dimostra – forse – tanto arida da non sapere che farsene – e mette un freno alla crescita reale, tiene ferma l’innovazione sul campo della retorica.
Per altro, la resistenza di cui parla Angileri non riguarda solo le imprese. «Il nostro primo nucleo operativo, quello che possiamo definire sperimentale, è la provincia di Trapani. Dal lancio della app fino a oggi, ci siamo mossi per coinvolgere in loco operatori del turismo e interlocutori istituzionali. Quindi i comuni, il Distretto Turistico della Sicilia Occidentale e così via.»
«La risposta è stata tiepida», continua «e non di certo per disinteresse nei confronti della piattaforma ma per ragioni di tipo organizzativo, per motivi strutturali: non c’è il tempo di seguire il progetto, mancano le risorse umane specializzate… Pur trattandosi di una proposta di collaborazione gratuita, trovare un accordo è stato impossibile».
Un atteggiamento che fa sorridere perché la spinta a innovare, digitalizzare, startuppizzare arriva spesso proprio da queste realtà, i cui discorsi (o comunicati stampa) sono infarciti di buoni propositi sul futuro dell’impresa e del turismo siciliano, salvo poi dimenticare che le start up vanno supportate ben oltre i primi passi iniziali e che molto altro si può fare, al di là del sostegno economico in forma di finanziamento UE.
«Per garantire uno sviluppo solido alle start up, serve una visione al lungo termine», mi dice ancora Angileri. «C’è una sorta di miopia in Sicilia: le istituzioni non riescono a andare oltre l’atto primo della start up, cioè la sua nascita. Il contributo iniziale alle start up è sicuramente fondamentale, ma non possiamo dimenticare che queste stesse strutture vanno comunque supportate».
Del resto, la maggior parte delle start up fallisce in fase early stage –cioè nei suoi primi tre anni di vita, quando comincia a aver bisogno di investimenti concreti per restare a galla – e inizia a generare profitto soltanto dopo i primi cinque anni. E questo a prescindere dalla validità e dall’efficacia dell’idea imprenditoriale.
Un sostegno alle start up che si ferma al contributo iniziale, senza avere séguito, è un investimento senza ritorno. Uno spreco insomma, utile forse soltanto a salvare le apparenze, a dare l’idea di una Regione che si sforza di migliorare senza crederci davvero.
«Ho la sensazione», dice Angileri «che in Sicilia non ci sia una volontà reale di sostenere l’imprenditoria. Molto di quello che viene fatto, sul piano delle imprese, è una conseguenza di direttive comunitarie che impongono una direzione precisa. Non basta però fermarsi a quello che si deve fare, cioè il minimo indispensabile. Bisogna guardare oltre, adottare una prospettiva a lungo termine. Allora sì che si potrà parlare di sviluppo economico reale, di investimenti concreti per la crescita economica».
Nel frattempo, per una start up come Enthemo, non resta che il piano B. «Il nostro obiettivo primario è espanderci in provincia di Trapani, ma valutiamo la possibilità di esportare Enthemo altrove. Analizzeremo i nostri risultati, e dopo l’estate 2024 prenderemo una decisione».
Allo stato attuale, quella di Enthemo rischia di essere l’ennesima storia di fuga. Fuga di talenti, di risorse, di capitale, che cresceranno con tutta probabilità altrove, mentre qui sull’isola si coltiva una fantasia priva fondamento, e la si sta a guardare aspettando che dia frutti.
Daria Costanzo