La Corte d'Appello ha confermato l'assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste" per Paolo Genco, presidente dell'Anfe (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati), e per gli altri imputati coinvolti nel caso di corruzione nel mondo della formazione in Sicilia. Anche in secondo grado, le accuse non hanno retto.
Accanto a Genco, sono stati assolti Paola Tiziana Monachella, responsabile dell'Anfe di Castelvetrano, Aloisia Miceli, direttore amministrativo dell'ente, Rosario Di Francesco, direttore della Logistica della delegazione regionale Sicilia Anfe, e l’imprenditore Baldassare Di Giovanni. Gli avvocati Massimo Motisi e Cinzia Calafiore hanno difeso Genco, mentre gli altri imputati sono stati difesi dagli avvocati Roberto Mangano, Miriam Lo Bello, Luciano Fiore e Giovanni Di Benedetto.
L'assoluzione di primo grado era stata impugnata dalla Procura di Trapani e dalle parti civili, ma la Corte d'Appello ha respinto le contestazioni, mantenendo la sentenza di assoluzione.
Il caso risale a sei anni fa, quando Paolo Genco venne arrestato e trascorse tre mesi agli arresti domiciliari. L'accusa era che Genco avesse utilizzato una serie di fatture false per dimostrare spese mai sostenute, ottenendo così finanziamenti indebiti dall'Unione Europea tra il 2010 e il 2013. Parte dei fondi sarebbe stata utilizzata da una società riconducibile a Genco per acquistare immobili.
L'inchiesta portò al fallimento dell'Anfe, che perse l'accreditamento regionale e, conseguentemente, i finanziamenti. Il collasso dell'ente causò la perdita del lavoro per centinaia di persone, con ottanta dipendenti che si erano costituiti parte civile nel processo.
La conferma dell'assoluzione in appello rappresenta un punto finale in una vicenda che ha avuto ripercussioni significative nel settore della formazione in Sicilia, lasciando un segno profondo tra i lavoratori e le famiglie coinvolte.