Sembra ieri, eppure sono passati oltre settanta anni. A parlare per prima di “acqua democratica”, fu Danilo Dolci. Erano gli anni ‘50–’60 del secolo scorso. Tra campi aridi e popolazioni soffocate dal dominio della mafia, l’acqua la si elemosinava.
Come accade da alcuni mesi in questa parte della Sicilia Occidentale.
Dicevano allora che l’acqua in Sicilia mancava. Che era un castigo di Dio.
Dolci dal suo “Borgo di Dio” fu il primo a dire che con c’era nessun castigo divino e l’acqua in Sicilia c’era.
Un’autentica eresia, secondo il luogo comune dominante che accreditava la falsa tesi che nell’isola piovesse meno che nel resto d’Europa. Si tratta di un castigo che i siciliani dovevano contare e non c’era niente da fare e recriminare.
Dolci fece capire che la lotta per l’acqua poteva trasformarsi in una lotta di liberazione, oltre che sul piano fisiologico anche psicologico, e persino in un volano economico.
L’acqua non doveva essere privilegio di pochi, occorreva ingaggiare una lotta senza soluzione di continuità perché divenisse democratica (del popolo) e non continuasse ad essere monopolio dei privati e dei mafiosi.
Oggi, quelle parole di Danilo Dolci, di cui in questi giorni si ricorda il centenario della nascita, risuonano piu’che mai profetiche e le sue lezioni attualissime. Non piu’ la mafia, ovviamente, ma chi gestisce questo bene pubblico, e ricordando sempre che un referendum popolare ha sancito che l’acqua e’ un bene pubblico e di conseguenza garantito a tutti. Altro che autobotti un tanto al litro e pozzi di cui solo i camionisti conoscono l’esistenza.
“Acqua democratica”, quindi, predicava Dolci, che significava acqua abbondante, e per tutti.
Intanto oltre il 60% dell’acqua si perde nel passaggio dalle condotte alle abitazioni private e negli opifici. Rimane un miraggio il rifacimento degli acquedotti fatiscenti e l’ottimizzazione delle dighe. Tutti provvedimenti che negli ultimi trent’anni non sono stati effettuati e che oggi, a dispetto di quella massa di finanziamenti spudoratamente sbandierati da certa stampa compiacente.
Rileggere l’esperienza di Dolci potrebbe sembrare a prima vista azzardato.
Ma, fatte le dovute differenze, ci sembra essere ritornata di grande attualità, a cui attingere come lezione civile prima ancora che politica.
Dopo la riduzione della portata idrica immessa nelle reti da Siciliacque, i cittadini del Comune di Salemi, e non solo, stanno vivendo una delle crisi idriche tra le più drammatiche degli ultimi decenni.
L'avviso per l'emergenza idrica emanato alcune settimane fa, alla luce della diminuzione registrata nella fornitura, e’ rimasto solo un infausto avviso, superando ogni piu’pessimistica previsione..
La riduzione annunciata del 10% della “normale”portata annunciata da Siciliacque si e’subito rivelata una cocente presa in giro. La percentuale nei fatti e’ molto superiore.
Non lo diciamo noi, ma i cittadini che da oltre un mese subiscono grandi disagi sia nel centro urbano sia nelle frazioni (ad eccezione di Ulmi, e qualche altra zona del Centro, dove l’acqua viene erogata addirittura per ben tre volte a settimana). Contraddizioni tra zone che fanno aumentare l’indignazione della gente.
La sopportazione sta superando il limite di guardia. E spesso gli strali della rabbia non vengono lanciati contro i veri responsabili. La tentazione di prendersela con l’Amministrazione comunale e’ grande. Qualcuno vorrebbe soffiare sul fuoco, ma trattandosi di acqua, si capisce che tra acqua e fuoco non c’e’ compatibilità ci ricorda forse che primo inadempiente e’ il governo regionale. E quindi, zitti!
D’altro canto, l’invito da parte della vecchia Amministrazione nei confronti della cittadinanza a limitare il consumo dell'acqua "ai soli fini alimentare, domestico e igienico-sanitario" avanzato prima delle recenti elezioni comunali, ha avuto il sapore amaro di una beffa. La gente aveva ben poco da limitare, essendo venuta a mancare proprio l’acqua destinata all’alimentazione e all’uso domestico e igienico.
Intanto, dalle riunioni dei vertici dell'Assemblea territoriale idrica provinciale per discutere delle soluzioni alla carenza idrica e’ passata la linea di dare la priorità alla città di Trapani e alcune zone dell’agrigentino e del nisseno. Come se la sete avesse un valore diverso, a seconda della latitudine. Ma tant’e’!
Il sindaco Vito Scalisi dal canto suo, sconsolato, ha fatto intendere che per un ritorno alla “normalità” si dovrà attendere ancora due settimane. Forse a partire dai primi di agosto.
I lavori per i tre pozzi in contrada Bagnitelli, Polizzo e Ulmi sono stati affidati in via emergenziale ad una ditta e i lavori dovrebbero iniziare nella settimana entrante. Dovrebbero essere ultimati ai primi di agosto, appunto. E solo dopo si dovrebbe avere un miglioramento della portata idrica.
Usiamo il condizionale ben sapendo di vivere in una regione meravigliosa ma dove sul concetto di “normalità” occorre andare cauti e che non sempre assume il significato che gli viene dato altrove. Per non parlare dei lavori pubblici, la cui fine ogni volta pende come una spada di Damocle.
Per non parlare delle conseguenze che il cambiamento climatico ha prodotto. Fuori dai nostri confini si e’ presa coscienza del nuovo stato, nella nostra Isola ancora se ne discute.
Ne frattempo e’ mancata da anni la determinazione e la volonta’ nel dotarsi di adeguate infrastrutture idrauliche. Oggi si scontano le inerzie e l’incapacità di chi avrebbe dovuto prevedere e provvedere in tutti questi anni occupando le stanze del potere regionale.
Guai a nascondersi dietro l’alibi della siccità di questo terribile 2024. Che semmai ha aggravato la situazione.
Occorre non dimenticare che la causa principale dell’attuale crisi risiede nella "notevole dispersione idrica" causata da impianti vecchi e malconci che da anni non sono stati oggetto di manutenzione o di sostituzione.
A sostegno di quanto sosteniamo ci sono, ad esempio, le sentenze del Tar e della Corte Costituzionale che accolsero i ricorsi presentati proprio dal Comune di Salemi contro il diktat con il quale la Regione aveva imposto agli enti locali la presa in carico della rete acquedotti.
Sempre per dare un esempio concreto e incontestabile, in questi anni il Comune di Salemi ha provveduto con proprie risorse (ben tre milioni di euro) alla manutenzione delle reti ma la situazione è divenuta ormai insostenibile.
"Dovrà essere la Regione - come ha stabilito il Tar - a farsi carico del problema della gestione del servizio idrico nei Comuni in cui operava l'Eas".
Su quest'ultimo punto il Comune di Salemi si è rivolto nuovamente al Tar per un giudizio 'di ottemperanza' affinché la Regione adempia a quanto disposto dalle diverse sentenze. Un quadro che vede coinvolta la Regione in duplice veste, dal momento che l'Assemblea territoriale idrica di Trapani è commissariata con un dirigente regionale.
Ma tutto e’ rimasto solo sulla carta. Ci chiediamo se questo e’ il modo corretto di comportarsi di una Istituzione.
Terminiamo come abbiamo iniziato, dicendo che un popolo che nel linguaggio di tutti giorni non usa “il tempo futuro” sta a significare che e’ un popolo che ha perso la capacità di guardare avanti. E come potrebbe essere diversamente, se per prima a dare il cattivo esempio sono proprio le Istituzioni.
Si ripete da anni che alla base del disincanto del popolo siciliano siano le immutate condizioni di vita alle quali e’stato costretto a vivere in secoli di dominazioni straniere e autoctone.
Si ripete di conseguenza che noi siciliani, per costituzione, non possiamo pensare in prospettiva, semplicemente perché incapaci di scorgerne una: un conto è parlare al passato, sulla cui certezza non si può discutere, un conto è spingersi troppo in là con le illusioni. Persino il nostro scrittore cittadino Salvatore Catania lo ha raccontato nel suo “Gli Illusi”.
Ogni volta che il Siciliano ha sperato in futuro migliore, puntualmente la svolta gli è stata negata: nella storia siciliana, per ogni Garibaldi c’è stato un Nino Bixio.
Da qui la cronica sfiducia nella politica, ritenuta incapace essa stessa di guardare con lucidità al domani.
Quando si dice “munnu ha statu e munnu è”, “ognunu godi lu statu chi è”, “cu lassa la vecchia strata pi la nova nun sapi soccu trova”, come non pensare alla teoria verghiana dell’ostrica che rimane chiusa nel proprio guscio, perché non appena ne esce fuori è risucchiata dal mondo esterno.
Ecco, Danilo Dolci con la sua battaglia per l’”acqua democratica” tentò di inserire il tempo futuro nel linguaggio della quotidianità del siciliano.
In parte vi riuscì.
Nel libretto “Le nozze coi fichi secchi” di Goffredo Fofi vi si legge di un maresciallo che chiama Dolci "santo", "Maometto" e "nuovo Messia"credendo di irriderlo, ma che tuttavia, tradisce un timore riverenziale, la consapevolezza oscura del valore profetico delle parole e dell'esempio di Dolci. Non a caso il cardinale Ruffini, temendone l'apostolato laico e sovversivo, lo accusa di essere uno dei più gravi mali della Sicilia.
Un dubbio nasce prepotentemente. Non e’ che per affrontare alle radici l’eterno castigo dei siciliani, la perenne penuria dell’acqua, bene vitale di una società civile, occorra innescare una seconda battaglia per l’”Acqua Democratica”?
Forse manca un visionario, come lo fu Danilo Dolci.
Franco Ciro Lo Re