Luoghi, e numeri. Si potrebbe raccontare così questo viaggio nella Sicilia della siccità. Indicare un luogo, e aggiungere un numero. Posti anche sconosciuti, quartieri. Ad esempio Giardina Gallotti, periferia di Agrigento (città, non dimentichiamolo, scelta quale “Capitale Italiana della Cultura” per il 2025). Il numero è 20. Cioè, i residenti devono aspettare 20 giorni, quasi tre settimane piene tra un turno dell’acqua e l’altro.
Nell’arsura dei giorni di attesa c’è chi va a riempire i bidoni nelle poche fontanelle ancora funzionanti - mettendosi in fila già alle sei del mattino - chi insegue i signori delle autobotti, chi chiude casa e va via.
Ad Agrigento c’è stata una nuova protesta pubblica per chiedere interventi immediati e reclamare un diritto semplice eppure complicatissimo, di questi tempi: avere l’acqua. In piazza tante persone: volti sudati, stanchi, esasperati. Volti di persone la cui vita è stata scombussolata.
Alla guida del “Cartello sociale” che organizza le proteste c’è anche un prete, Don Mario Soce: “La situazione è diventata insostenibile” spiega. C’è poca acqua, e per pochi. I manifestanti si rivolgono al Prefetto per avere “soluzioni rapide”, mentre il Comune è bloccato anche dall’assenza della Giunta, per l’ennesima crisi politica locale. Don Sorce è stato oggetto di critiche anche pesanti, qualche consigliere comunale si è lamentato e lo ha invitato a stare al suo posto, “ma la Chiesa - replica il sacerdote - ha il compito di supportare la comunità, per migliorare le condizioni di vita dei cittadini, soprattutto in momenti come questi”.
“La Prefettura non si occupa di distribuire le risorse idriche – spiega ai manifestanti il prefetto di Agrigento Filippo Romano – perché non ha poteri specifici in materia. Noi come Prefettura abbiamo il compito di vigilare e ci occupiamo naturalmente di scongiurare rischi per l’ordine pubblico”. L’unica soluzione che Romano vede è il dissalatore, “ma prima bisogna sistemare la rete idrica”.
Altro luogo, altro numero. Il posto si chiama Poggio Fiorito. Un nome fiabesco. Il numero è 42. E avete capito bene: a Poggio Fiorito, frazione di Caltanissetta, l’acqua non arriva da un mese e mezzo: 42 giorni. Una piccola frazione, ci vivono circa 30 famiglie. Anche lì i cittadini, stremati, sono scesi in piazza. In tutta risposta hanno ottenuto un’autobotte che ha rifornito quattro famiglie con bambini. Sergio Cirlinci, anima del quartiere e promotore della protesta, ha rinunciato alla sua, di autobotte, perché il giorno prima ne aveva chiamata una privata: “Adesso non contiamo più i giorni che mancano all’arrivo dell’acqua, ma quelli all’arrivo della prossima autobotte. Ed i turni sono settimanali” racconta. Il costo di un autobotte, per chi può permettersela, era di 50 euro fino alla primavera scorsa Adesso è salito a 250 euro, per 8000 litri di acqua.
Poco fuori, a San Cataldo, il dramma dell’agricoltura si tocca con mano.
Giuseppe Scarlata ha migliaia di ettari coltivati a grano: “E’ tutto rimasto nei campi - racconta - perché senza pioggia, dopo la semina le piante non sono cresciute”. Anche le pecore e le capre sembrano sfinite, e i loro giri, per trovare un po’ di erba e di acqua, diventano sempre più lunghi. I pastori lo chiamano “il grande problema dell’acqua”. Salendo su una piccola collina, qui nel centro della Sicilia, sotto un sole che non ha pietà, sembra di essere davanti ad un deserto brullo, una specie di Sahara non fotogenico, uno scherzo della natura, insomma. Luca Cammarata, allevatore della zona, mostra un terreno nel quale, l’anno scorso, aveva raccolto trecento balle di fieno. Quest’anno, invece, neanche una. Dai consorzi irrigui l’acqua arriva ogni 10 - 20 giorni. Non si sa né quando, né la portata, ogni volta. I più esperti, allora, ricorrono a dei “pozzi di fortuna”. E’ la vecchia sapienza contadina. Sono dei pozzi antichissimi, costruiti secoli fa, e poi abbandonati. Adesso, invece, i coltivatori li cercano per le vecchie “trazzere” come rabdomanti. Il problema non è trovarli, ma capire che tipo di acqua hanno al loro interno, perché molto spesso è contaminata e non utilizzabile.
Altro luogo, Ravanusa, provincia di Agrigento. Il numero è 21. Tre settimane piene. Adesso la speranza per gli abitanti è la nave cisterna della Marina Militare, arrivata al porto di Licata. L’hanno accolta tutti con una festa che non si ricordava dai tempi dello sbarco Alleato, dell’operazione Husky. Ma è una festa che è durata poco. Alla Protezione Civile regionale hanno fatto due conti: ogni viaggio di una nave costa 50 mila euro, per una spesa di 43 euro a metro cubo. Un’enormità. La circolare è arrivata in queste ore, di poche parole: “In attesa di una doverosa verifica dei costi, il servizio è sospeso”, decreta il capo della Protezione civile siciliana e coordinatore della cabina di regia per l’emergenza idrica, Salvo Cocina. E aggiunge: “Troveremo altre soluzioni”. Si, ma quali?
L’ultima speranza viene dalla scoperta di alcuni ricercatori: 17 miliardi metri cubi d’acqua. Sono nella più grande falda acquifera mai trovata in Sicilia. E’ stata individuata dai ricercatori dell’Ingv (l’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Roma) e delle università di Malta e di Roma 3. L’enorme falda acquifera si trova sotto i monti Iblei, a 800 metri di profondità. La notizia da giorni fa il giro del web e dei social. In un mese si potrebbe scavare un pozzo, dicono gli esperti. Ma è proprio così? “Stiamo approfondendo l’argomento” dichiara Cocina. E aggiunge che in realtà c’è poco di nuovo nella scoperta: “Ho sentito diversi tecnici e docenti anche molto scettici e ricordo che di questa acqua fossile se ne parlava anche ai tempi della siccità del 2002”. Quali sono i punti critici? “ La salinità dell’acqua, che aumenta con la profondità. i costi di perforazione, ed i costi energetici per il sollevamento”. Insomma, non è tutto così facile: l’acqua fossile può essere non buona, ed il suo trasporto potrebbe rende infattibile tecnicamente ed economicamente l’operazione”. Bisogna, di nuovo, inventarsi qualcos’altro.