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27/08/2024 06:00:00

Cosa resta del diritto a restare? Un report sui sogni dei giovani siciliani

 Diritto a restare, o volontà. Ci si muove su questa linea sottile. I nati dagli anni 90 in poi compongono, in Italia, generazioni di fuggitivi. Un recentissimo articolo di La Repubblica li ha definiti Generazione E, dalle E di emigrazione che è l’unico movimento riscontrabile, in un Paese immobile, nonché il più difficile da fermare: perché mancano risorse o perché non si vogliono trovare. Dovere di lasciarci restare, o volontà. Chissà cosa prevale.


Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma ogni anno vanno via dalla Sicilia circa 100mila persone. E non è nemmeno un numero reale. Le 100mila persone, quantificabili, sono quelle che cambiano ufficialmente residenza. Moltissimi invece, tra universitari e neo-assunti, ingrossano i numeri dell’anagrafe ma non si vedono in giro, nelle nostre piazze o strade: non li trovi qui, vivono altrove. Considerando anche soltanto gli universitari fuori sede, quel numero andrebbe corretto, arrotondato almeno a 150mila. Non ci sarebbe bisogno di dirlo, è vero, oppure forse andrebbe scritto sui muri di ogni via, sull’asfalto o cartelli stradali, in volantini da lanciare a pioggia sulle macchine parcheggiate. Perché l’emigrazione siciliana è silenziosa e, più di questo, è data per scontata come fosse una tappa naturale della vita: la partenza, per noi siciliani, è percepito ormai come un rito di passaggio.


Poi qualcuno si ferma a pensarci e si ricorda che no, non può essere così. Se una società si dice libertaria e vuole esserlo fino in fondo, deve pensare al movimento (che sia in entrata o in uscita, intendiamoci) come scelta possibile, non come passo obbligato. Qualcuno come i ragazzi del Centro Studi Giuseppe Gatì, che sono anche gli organizzatori del festival Questa è la mia terra, tenutosi a Campobello di Licata il 24 e il 25 agosto. «Siamo un gruppo di ragazzi e ragazze ritrovati», ci spiega Gaetano Gatì, uno degli ideatori del progetto. «Molti di noi sono partiti più di dieci anni fa e oggi siamo di nuovo qui in Sicilia, ognuno con esperienze diverse, per cercare di dare un contributo a questa terra affinché si possa evitare di dire, come al solito, che in Sicilia non c’è più nulla».
Il festival, del resto, quest’anno si è posto un obiettivo preciso: dare voce ai siciliani, soprattutto ai giovanissimi, per far conoscere a cittadini e istituzioni, quali sono le loro aspirazioni e quali le difficoltà nell’assecondarle restando qui al Sud. Il progetto “MA.DRE” (Mapping Dreams) è stato perciò al centro della prima giornata del festival, e ha rappresentato un primo passo concreto verso la ricerca di una soluzione concreta.


«Noi come collettivo», continua Gaetano Gatì, «siamo convinti che per avere un serio contrasto del fenomeno migratorio dobbiamo partire dai dati e dalle evidenze».
Dati che sono già stati (e che ancora verranno) raccolti e elaborati dal Centro Studi Giuseppe Gatì, la cui recente fondazione è stata celebrata proprio durante il festival. «Avere chiara l'idea di quello che desiderano i ragazzi del territorio ci permette di capire quando maturano l'idea di andare via e perché. Il Centro Studi, dedicato alla memoria di Giuseppe Gatì, che con il suo impegno ha ispirato la realizzazione dell'intero progetto, ci permetterà di indagare a fondo sulle ragioni di questa emigrazione di massa».


Desiderio di fuga e dati scoraggianti
Il primo report del Centro Studi è stato presentato durante la prima giornata del festival. «Nell’ultimo anno, abbiamo condotto una ricerca in tre scuole dell’Agrigentino per cercare di mappare i sogni delle ragazze e dei ragazzi della zona, e capire se e quando decidono di andare via. Il nostro obiettivo è stato quello di discuterne insieme, durante il Festival e non solo, così da scriverne collettivamente un ulteriore capitolo». Al termine della prima serata, il report completo è stato poi consegnato nelle mani di istituzioni nazionali, regionali e locali, «come atto pubblico di responsabilizzazione, nel tentativo di sviluppare insieme un piano di azione concreto».
I dati del report sono comunque scoraggianti. Oltre il 78% degli intervistati ritiene che la Sicilia offra meno opportunità rispetto ad altre regioni italiane, mentre solo l’1,68% vede maggiori possibilità sull'isola. Di questi, il 34% è sicuro di andare via dopo aver terminato le scuole superiori, mentre il 32% è indeciso sul da farsi. «La ricerca che abbiamo portato avanti», ci dice ancora Gaetano Gatì, «non ci ha mostrato niente di nuovo: i risultati sono in linea con la percezione che già avevamo del fenomeno. Sono emerse però sfumature ancora inesplorate come quella della differenza di genere». Il divario di genere è in effetti significativo: l'81% delle ragazze intervistate percepisce la Sicilia come meno attrattiva rispetto all'estero, contro il 75,36% degli uomini.


Basta una ricerca a fermare l’emigrazione siciliana? Certamente no. Vero è, però, che progetti come questo, sostenuti da un Centro Studi dedicato e da un ecosistema di associazioni sul diritto a restare (come “Nun si parti”, “South Working, “RIFAI”, etc., che hanno supportato il festival Questa è la mia terra), permettono una collaborazione più densa – e si spera più proficua – tra cittadini, associazioni e istituzioni. «Il festival, così come il Centro Studi, nascono anche come luogo in cui si raccoglieranno idee e azioni pubbliche volte a favorire la partecipazione delle istituzioni all'interno di questo processo». La presenza dell’On. Giovanna Iacono, promotrice dell'intergruppo parlamentare sul diritto a restare, formatosi lo scorso luglio, è un piccolo segnale concreto di questa volontà di collaborazione.
Piccoli passi, insomma, per un progetto tanto ambizioso: riconoscere il diritto di costruire il nostro futuro qui, al Sud, dove siamo nati. Se è vero che decenni di emigrazione di massa, verso il nord o l’estero, hanno cambiato il volto del nostro territorio, sfregiandolo quasi, è vero anche che comincia a diffondersi una voglia di riscatto e che i ragazzi del Centro Studi Gatì la incarnano alla perfezione.

 

Daria Costanzo