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13/09/2024 06:00:00

Se la lottizzazione della sanità in Sicilia fa inorridire pure Schifani ...

 Nell’interminabile calura dell’estate siciliana, ci tocca vivere rapiti da una specie di sindrome dello specchio. Avviene tutto e il suo contrario. In pochi giorni si passa dall’emergenza siccità al calcolo dei danni per le piogge torrenziali di fine agosto, ad esempio. Vivere un’emergenza, e il suo opposto, senza soluzione di continuità. Oppure assecondare un sistema, quello che riguarda la lottizzazione delle nomine nella sanità pubblica, per poi denunciare il misfatto, con un pesante “j’accuse”. È quello che accade con il presidente della Regione, Renato Schifani. Autentico regista dei delicati equilibri della frastagliata maggioranza che lo sostiene, Schifani ha utilizzato anche il bilancino delle nomine della sanità – con l’infinita partita dei manager alla guida di aziende provinciali ed ospedali – per cercare di fare stare tutti insieme, appassionatamente, come in un vecchio musical di successo. I partiti hanno preso in parola l’esempio, e si sono spartiti tutto quello che c’era da spartirsi, a cascata, sulla scorta di pesi e contrappesi determinati dall’esito delle ultime elezioni Europee di giugno.

Così, nelle ultime ore, sono arrivate le nomine dei direttori, che stanno alle aziende sanitarie come i sottosegretari a un governo: posti di secondo piano, apparentemente, ma che danno grandi possibilità di manovra e permettono di gestire portafogli non di poco conto. Nomine molto contestate – dagli operatori sanitari, dai sindaci, dalle organizzazioni di categoria – perché davvero la logica della spartizione ha prodotto una serie di indicazioni senza rigore logico, di valorizzazione delle competenze manageriali in ambito sanitario o del merito. Non proprio un bello spettacolo.


E infatti, chi ha denunciato tutto? Renato Schifani. Proprio lui. Giano bifronte, prima Schifani si fa interprete di un metodo, poi dice basta. Anzi, altro che musical, parla di «un balletto inqualificabile», di un sistema «incancrenito». E mette anche un limite: «Non mi lascio più manovrare». I partiti lo guardano con sconcerto: sia quelli di maggioranza, che si sentono un po’ come presi con le mani nella marmellata, sia quelli di opposizione, che accusano il presidente di ipocrisia.

D’altronde, sono parole inedite per l’ex presidente del Senato, abituato a mediare fino allo sfinimento, a usare toni concilianti e ovattati in ogni situazione (vale la pena ricordare che è stato l’unico dei transfughi che lasciarono Forza Italia per il partito meteora Nuovo Centro Destra, ad essere riaccolto, poi, da Silvio Berlusconi …).


Ma evidentemente anche per lui la misura è colma. Annuncia infatti massima severità con i manager della sanità e i loro sottoposti: «Chi non rispetta gli obiettivi sarà mandato via». Ma quali sono gli obiettivi? Il primo è la grande croce della sanità siciliana: le liste d’attesa. Si spende tantissimo, ricorrendo a sanguinose convenzioni con le cliniche private, per accorciarle. Magicamente tornano ad allungarsi dopo un po’ .

Ma fosse solo quello il problema. È lo stesso Schifani a dirlo: «Diverse cose nella sanità pubblica non vanno». Ma va? Verrebbe da chiedere. Aiutiamo il Presidente, con qualche numero e un po’ di ripasso generale. Cominciamo dalle liste d’attesa. L’ultimo provvedimento della Regione Siciliana è dell’8 maggio scorso: otto milioni in più ai privati convenzionati per garantire le prestazioni ambulatoriali che la sanità pubblica non riesce più ad erogare. Sono così trecentodieci milioni gli euro distribuiti in un anno dalla Regione ai privati, nelle diverse branche, dai laboratori di analisi alle visite specialistiche. Dodici milioni di euro in più rispetto all’anno precedente.

Ma dopo qualche mese siamo bis e daccapo: seicento giorni di attesa per una visita endocrinologica a Messina, trecentocinquantaquattro per una pneumologica a Messina. Cinquecentoquarantacinque per un’ecografia all’addome. La sanità negata in Sicilia sta tutta nei numeri raccolti da Federconsumatori Sicilia. La Sicilia ha uno dei tassi di rinuncia alle prestazioni sanitarie, a causa degli eccessivi tempi d’attesa, tra i più alti in Italia: 7,2 per cento. Persone che, non potendo aspettare, preferiscono non curarsi affatto.

Ricorrere ai privati sembra l’unica strada percorribile anche nella seconda emergenza siciliana, quella dei Pronto Soccorso. Carenti di risorse, personale e di mezzi, sono ormai presìdi di frontiera che devono fronteggiare le emergenze (con il carico di tensioni, aggressioni, denunce…) e tutto quello che gli ospedali non riescono a smaltire. Per spiegarci meglio: se io devo aspettare due anni per un’ecografia all’addome, l’unica soluzione che ho è presentarmi al pronto soccorso appena avverto forti dolori, e lì l’ecografia, in qualche modo, mi verrà fatta.

L’idea del governo Schifani è di affidare anche i Pronto soccorso ai privati. È scritto chiaramente nel nuovo piano di riordino della rete ospedaliera che sarà il prossimo campo di battaglia della maggioranza. Lì, tra reparti doppioni fra ospedali vicini che vengono cancellati, la ridefinizione di competenze e presìdi nel territorio, è prevista anche la creazione di Pronto soccorso nelle cliniche private.

E poi c’è il grande tema dei lavori per le nuove strutture anti-Covid. Proprio così. Perché in Sicilia ancora si aspetta la conclusione dei lavori che avrebbero dovuto permettere di fronteggiare l’emergenza. Quattro anni dopo. Adesso, secondo un canovaccio già noto – il musical in scena, diciamo, prevede uno schema noto al grande pubblico – entra in campo il più odioso degli antagonisti, per la tranquilla politica siciliana: la Corte dei Conti.

Il piano Covid, in Sicilia, prevedeva, a partire dal 2020, la creazione di cinquecentosettantuno nuovi posti letto di terapia intensiva, ventinove nuovi edifici (pronto soccorso, reparti, padiglioni). L’investimento era di duecentoventinove milioni. Siamo a settembre del 2024, e solo il sessanta per cento di quei lavori “urgenti” è stato completato.

La cattiva politica ricade sulla vita delle persone e sulle aziende. Molte imprese che hanno lavorato negli appalti non sono state mai pagate, e fioccano i decreti ingiuntivi per la Regione, che calcola in settanta milioni i soldi necessari, in aggiunta a quelli già stanziati, per completare il piano, fissando una nuova scadenza: il 31 dicembre 2025 (ma in tanti già leggono: primavera 2026). Da qui l’intervento della Corte dei Conti, che ha già acquisito la documentazione e chiesto una relazione dettagliata all’Assessorato alla Sanità.

Il simbolo di questa dissennata gestione dell’emergenza è sicuramente il “padiglione Covid” – così si chiama ancora – di Marsala, quarta città della Sicilia. Doveva essere realizzato per ospitare i malati di Covid, nell’ottica della creazione di un polo dedicato alle malattie infettive in Sicilia occidentale. I lavori furono inaugurati a dicembre 2020. Termine previsto: maggio 2021. In realtà non c’era neanche il progetto. I lavori sono partiti con grande ritardo, i soldi sono finiti quasi subito. Dalla Regione annunciano, adesso, ulteriori diciassette milioni di euro per completare almeno il piano terra della struttura (inizialmente prevista a tre piani) ed utilizzarla come Pronto soccorso.