Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
24/11/2024 06:00:00

Le tre D che allontanano dal voto 

 Le recenti elezioni regionali in Umbria e Emilia Romagna, hanno ribadito un dato che non è più neanche sconfortante ma lo si dà per scontato, ovvero alle urne vota meno del 50% di chi ha diritto. Le analisi le lascio a chi di dovere - quelle che ascoltiamo, a volte, ai limiti del surreale ma ci sta - è di questi tempi purtroppo restare sul pelo dell’acqua piuttosto che cercare di capire, parrebbe la normalità.

Sono trend che ci trasciniamo da anni con questi numeri in picchiata ogni qual volta veniamo chiamati a esprimerci, e la politica non viene minimamente sfiorata da un dubbio: in larga parte non è più credibile agli occhi di una comunità che drammaticamente scivola sempre più giù tra difficoltà nel galleggiare il tempo che abita. 

Tre sostantivi fanno al caso- per alcuni versi simili o coerenti - disaffezione distrazione e forse quello che fa più male, disinteresse. Queste tre “d” vivono il nostro tempo in modo sempre più invasivo e quasi non ce ne accorgiamo più, colpiscono duro sopratutto in aree dove si ha meno in senso ampio ( meno offerta culturale, meno servizi, meno infrastrutture) e drammaticamente quella percentuale che sfiora il 50% alle urne, aumenta verticalmente per quelli che poi dovrebbero essere interessi comuni per vivere una socialità attiva.

Roma, Milano, Torino i grandi centri giocano un’altra partita è nelle cose ( e vivono anche loro problemi di rotture drastiche tra il centro e la periferia ), ma c’è sempre uno zoccolo duro che prova a contaminare e a erodere una fascia di disattenti.

Nel resto dell’Italia, zone periferiche o lontane da tutto lì il tema è drammaticamente serio: puoi provare disaffezione per la squadra locale, ci si può distrarre - interessi a sinusoide che vivono di alti e bassi in ambiti i più disparati e ci può stare -, ma quello che lascia segni in profondità è il disinteresse ovvero la “ noncuranza del proprio interesse, del proprio utile, materiale o morale: agire con d., senza un fine egoistico o senza secondi scopi “ (Treccani on line).

Fare strame del proprio interesse è una via senza ritorno: costruire percorsi virtuosi è di una fatica improba, distruggere tutto un attimo.

E’ tempo che impone scelte di visione a medio lungo periodo - e politici visionari ad oggi non ne vedo purtroppo - ed è arrivato quel momento non più differibile, quella Comunità educante quella parte di società che si professa attiva dovrebbe essere conseguente nelle azioni: si costruisce insieme una visione diversa e chiedo sempre, ma siamo soli o circondati da tanti ? Solo a noi stabilirlo.

Alla politica veniva chiesto di tracciare un perimetro di sostenibilità di azioni, altri fare in modo da rendere vivo il contesto: ma se la prima non pervenuta perché sempre impegnata a fare altro, gli “altri” vivono una crisi di identità o che? O più semplicemente vivono distanze che hanno contribuito a creare? Egocentrismo conclamato si contrappone a logiche di condivisione che forse possono salvarci da un isolamento che non è più dietro l’angolo. Dobbiamo ragionare concertando più voci - salvaguardando l’identità di visione di creatività - ma partecipando alla vita sociale di un luogo che abitiamo, smetterla di essere cinici o peggio. Viceversa fatico a comprendere lo sforzo di tanti che poi si dimostrano sordi ad un coinvolgimento autentico. In quella che è la mia tazza di tea (ambito letterario e progettualità connesse) - e l’ho già scritto - sono fallite sul nascere la costruzione di condivisioni, perché imponevano modus operandi nuovi e si sa è più comodo restare in un alveo senza grandi sussulti.

Noi siamo quelli che non votano, siamo quelli che ci piaccia o meno non partecipano se non a parole o facendo registrare al più sussulti da tastiera, anche basta: posso dirlo che me ne fotto di numeri irreali delle tante piattaforme social? Amiamo tutti il teatro (vero?) e cito Gaber, perché tra parole e musica ci dà una stoccata ricordandoci cosa sia essere Cittadini del FARE. 

… La libertà non è star sopra un albero 
non è neanche il volo di un moscone 
la libertà non è uno spazio libero 
libertà è partecipazione… 

giuseppe prode