Le passeggiate a Ferragosto a Tre Fontane, le ripetizioni di latino alla figlia. L’amore per l’uomo, non per il boss. Laura Bonafede, la maestra di Campobello di Mazara, amante di Matteo Messina Denaro, prima della lettura della sentenza che l’ha vista condannare a 11 anni e 4 mesi, ha raccontato al giudice, per la prima volta, la sua relazione con il boss.
Un racconto che va dall’infanzia fino agli ultimi anni di latitanza. La donna è stata una spalla su cui il boss si è potuto appoggiare in questi anni, ed è una delle persone che custodisce i segreti dell’ultimo capomafia di cosa nostra, arrestato il 16 gennaio 2023, e morto otto mesi dopo.
In carcere dal 13 aprile dello scorso anno, la donna era ritenuta una delle persone di fiducia del superlatitante, al punto da ricevere da lui indicazioni su come agire anche dopo il suo arresto. Tra i messaggi scambiati, uno recita: «Certo che farò quello che mi hai detto», a testimonianza del legame e della fiducia reciproca tra i due.
Gli indizi nei pizzini
I "pizzini" rinvenuti dai carabinieri del ROS rivelano riferimenti criptici a persone e luoghi, come “il tugurio” e “il limoneto”, indicativi di covi segreti e punti di riferimento. Secondo i magistrati, Bonafede sarebbe stata a conoscenza della posizione di un archivio segreto di Messina Denaro, in cui il boss conservava documenti legati ai suoi affari e ai suoi segreti. L’appartamento a Campobello di Mazara, dove Bonafede viveva, è stato setacciato dagli inquirenti, che hanno trovato circa mille pizzini, molti dei quali contengono dettagli contabili e altre informazioni personali del boss.
Un ruolo di rilievo in Cosa nostra
Laura Bonafede era considerata dagli investigatori come un’importante intermediaria per Messina Denaro. Dai "pizzini" emerge il ritratto di una donna estremamente devota alla causa mafiosa, che stabiliva modalità precise e riservate di comunicazione con Messina Denaro. I due si sarebbero scambiati messaggi in codice e avrebbero usato un linguaggio studiato per evitare sospetti.
Legami familiari e radicamento nel clan
Il coinvolgimento della maestra in Cosa nostra è anche legato alla sua famiglia: il marito, Salvatore Gentile, sta scontando l’ergastolo per omicidi commessi sotto ordine di Messina Denaro tra il 1991 e il 1993. La stessa Laura Bonafede, inoltre, è figlia del capomafia storico di Campobello, Leonardo Bonafede, un altro esponente di rilievo della famiglia mafiosa.
Un archivio segreto e una rete di affari
Secondo gli inquirenti, Messina Denaro custodiva documenti e segreti in un archivio nascosto, i cui dettagli emergono nei "pizzini". Questo archivio potrebbe contenere informazioni cruciali su affari, alleanze e strutture di Cosa nostra. Tra i riferimenti c’è anche il nome "Macondo," usato per identificare Campobello di Mazara nei messaggi, un chiaro segnale dell’importanza simbolica di questo luogo per il boss e la sua rete.
Il racconto prima della condanna
Laura Bonafede ha parlato per la prima volta della sua relazione con Matteo Messina Denaro prima di ricevere una condanna a 11 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa. Nel suo resoconto, la donna ha cercato di dissociarsi dal mondo mafioso, descrivendo la sua lunga conoscenza con il boss come una relazione di amicizia e, più tardi, di supporto reciproco.
«Penso che sia arrivato il momento di dire un pochettino quelle che sono state le tappe della mia vita», ha iniziato Bonafede. Spiegando la sua scelta di raccontare al giudice, ha aggiunto: «A dire la verità volevo spiegarlo anche ai carabinieri che sono venuti a trovarmi a fine aprile, però mi sono trattenuta perché ho detto, l'unica persona a cui posso raccontare la verità è il giudice».
L’infanzia con Messina Denaro
Bonafede ha descritto un’infanzia trascorsa in una famiglia mafiosa, ma ha specificato: «Noi figli e nemmeno mia madre abbiamo mai fatto parte di questa associazione mafiosa. Anche perché le donne erano tenute lontane da certe situazioni e da certi contesti». La sua conoscenza con Messina Denaro risale agli anni Settanta, quando era solo una bambina: «L'ho conosciuto da bambina, saranno stati gli anni Settanta. Avrò avuto sette, otto anni. Qualche volta andavamo a trovarli in una località di campagna a Zangara, lì c'era tutta la famiglia di Messina Denaro».
Il primo incontro in latitanza
Il loro rapporto si interruppe per anni a causa dei problemi giudiziari del padre di Bonafede. Quando lo rincontrò, nel 1989, Bonafede ricorda episodi occasionali: «Ho rivisto Messina Denaro nel 1989 prima che mi sposassi, al Pirrot, che è una pizzeria di Castelvetrano. Ci siamo soltanto salutati». Solo nel 2008, a Campobello, si riaffacciò nella sua vita in modo più intenso: «Mentre mi trovavo nella cartoleria Giorgi, si è fatto riconoscere. Mi ha fatto cenno di seguirlo con l'auto, lui aveva una Cinquecento bianca. Poi, in una strada un po' isolata, mi ha fatto salire sulla sua auto».
Il legame con la figlia
Da lì in poi, Bonafede racconta una serie di incontri che descrive come privi di intenti criminali. «Sono stata bene – afferma – abbiamo parlato, mi sono sentita rassicurata, appoggiata». Racconta di incontri furtivi, come una passeggiata sulla spiaggia di Tre Fontane durante Ferragosto: «Indossavamo dei cappelli. Ci sentivamo al sicuro». Dipinge Messina Denaro come una figura di riferimento per sua figlia, una persona che «qualche volta aiutava mia figlia nella storia e nel latino». Aggiunge: «Era una persona spiritosa, educata, divertente... faceva trascorrere quelle ore allontanandomi da quella che era la mia quotidianità, che era un poco pesante».
Bonafede ha descritto il loro legame come «una famiglia anomala», pur negando di aver mai fatto parte di un’associazione mafiosa. Riconosce però un errore: «Avergli fatto conoscere mia figlia». La figlia è Martina Gentile, adorata da Messina Denaro.
“Non sono mafiosa”
A partire dal 2013, afferma di aver interrotto gli incontri, sebbene ci sia stato un «incontro casuale» nel 2015 e un altro nel 2017. «A quanto pare lui girava tranquillamente nel mio paese», ha commentato. Ha anche cercato di chiarire i riferimenti nei pizzini al "tugurio" e al "limoneto", descrivendoli come un magazzino di campagna dove Messina Denaro l’avrebbe portata per parlare.
Concluso il suo racconto, Laura Bonafede ha dichiarato: «Non ho mai fatto male a nessuno, non ho mai fatto parte di nessuna associazione». Tuttavia, le sue dichiarazioni non hanno convinto il giudice per le udienze preliminari di Palermo (era giudicata in abbreviato), che le ha inflitto una pesante condanna, ritenendola parte integrante del sistema di protezione che ha permesso a Messina Denaro di restare latitante per decenni.