Titone è ritenuto responsabile di tentato omicidio, con l’aggravante dei futili motivi, detenzione e porto di armi da fuoco “clandestine” e munizioni.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dagli inquirenti, l’arrestato avrebbe commesso tali gravi reati al culmine di un violento litigio tra vicini di casa dirimpettai, scaturito da futili motivi di viabilità e parcheggio.
Erano le 17:30 circa quando i militari dell’Arma, avuta una segnalazione che riferiva che nella contrada “Erbe Bianche” era in corso una zuffa, raggiungevano immediatamente il predetto quartiere popolare, interrompendo la lite che, secondo quanto poi accertato, avrebbe potuto avere un epilogo ben più tragico.
Difatti, solo qualche minuto prima, Francesco Titone, nel rientrare in macchina presso la propria abitazione, aveva trovato la porzione di strada davanti casa - laddove solitamente parcheggia - già occupata dall’automobile del vicino dirimpettaio, D.U., muratore campobellese di 25 anni, che in quel momento stava scaricando gli attrezzi da lavoro.
Le richieste di spostare il veicolo da parte del Titone, non soddisfatte da D.U., avrebbero a questo punto innescato prima una discussione e poi lo scontro fisico tra i due, al quale si sarebbero aggiunti, a difesa del giovane, alcuni suoi familiari conviventi accorsi per le urla.
In questo frangente, forse intuendo di non potere avere la meglio, Titone è entrato nella sua abitazione e ne è riuscito armato di due piccoli tubi in metallo, con uno dei quali ha esploso un colpo in direzione di G.U., pescatore 21enne, fratello convivente di D.U., che in quel momento si trovava sul balcone di casa, al secondo piano.
Udito lo sparo al suo indirizzo G.U. è svenuto sul colpo, mentre i suoi familiari si sono lanciati contro Titone nel tentativo di disarmalo dei due tubi. A recuperare e sequestrare gli oggetti hanno infine provveduto i Carabinieri, nel frattempo sopraggiunti, che hanno accertato essere delle armi da fuoco di fattura artigianale, non classificate e pertanto definite per Legge armi “clandestine”.
Nella fattispecie si tratta di due distinte canne in ottone da 15 cm circa ciascuna – una sorta di pistole senza impugnatura – dotate di un percussore interno agganciato ad una molla che si vincola e si svincola facendo esplodere un proiettile per volta, con un movimento simile a quello di una penna “a scatto”.
Peraltro ciascuna delle due armi, facilmente smontabile nei tre pezzi essenziali di cui si compone (un tubo, una molla, un piolino/percussore) risulta di facilissima occultabilità e, di contro, di difficile individuazione come un strumento in grado di uccidere, agli occhi di un non esperto di settore.
All’interno di una delle due armi i militari hanno rinvenuto il bossolo cal. 7,65 relativo al colpo esploso, mentre nell’altra hanno trovato un proiettile blindato dello stesso calibro, caricato e pronto ad essere sparato.
Oltre che per la concreta offensività di tali manufatti, l’accusa di tentato omicidio è fondata anche sulla modalità con cui il colpo è stato esploso inequivocabilmente all’indirizzo di G.U.; dal sopralluogo tecnico e dalle misurazioni di traiettoria sulla scena del reato, è infatti emerso che il proiettile è stato sparato dalla brevissima distanza di 13 metri circa e non ha colpito il bersaglio umano per soli 50 centimetri circa al di sopra della testa, conficcandosi nella parete retrostante.
L’arrestato, dopo aver trascorso la notte nelle celle di sicurezza della caserma di Campobello di Mazara, è stato tradotto presso il carcere di Marsala a disposizione della locale Procura della Repubblica.