Le pene più alte sono state inflitte al boss Giovanni Lipari (17 anni e 4 mesi) e al capomafia Sandro Capizzi (14 anni). Gerlando Alberti ha avuto 6 anni e 4 mesi. L’indagine, coordinata dai pm della dda di Palermo, svelò il piano dei vertici della mafia di ricostituire la commissione provinciale di Cosa nostra, organo unitario che negli anni ‘80 decideva gli omicidi eccellenti e le strategie dell’organizzazione.
L’inchiesta portò anche all’individuazione di tutti i nuovi capi delle famiglie palermitane e all’identificazione di decine di estortori che taglieggiavano imprenditori e commercianti. Tra i condannati anche due vittime del racket che, negando di avere ricevuto richieste di pizzo, secondo il gup, avrebbero favorito Cosa nostra.
Ma il processo che si è concluso oggi è solo il terzo nato dall’inchiesta “Perseo”. Oltre un secolo e mezzo di carcere è stato già inflitto, in primo grado, negli altri due procedimenti celebrati: a marzo scorso i gup di Palermo, Mario Conte e Sergio Ziino, hanno condannato 21 persone. La tranche conclusasi davanti al gup Ziino ha portato a 12 condanne, complessivamente a circa 80 anni di carcere, e 4 assoluzioni. L’accusa era sostenuta dai pm Roberta Buzzolani, Francesco Del Bene e Marzia Sabella.
In quel caso la pena più alta è stata inflitta ad Antonino Badagliacca (8 anni e 6 mesi). A 6 anni e 6 mesi sono stati condannati Paolo Bellino e Francesco Sorrentino. Altre nove condanne, per complessivi 64 anni di carcere, e un’assoluzione sono state decise dal gup Conte nei confronti di alcuni affiliati alle “famiglie” del mandamento di Belmonte Mezzagno. La pena più alta è stata inflitta a Pietro Calvo che, col meccanismo della continuazione con una precedente condanna, ha avuto 12 anni. Dieci anni e otto mesi ha avuto Benedetto Tumminia, 10 Giuseppe Casella, nove Salvatore Bisconti, otto ciascuno Gaetano Casella e Salvatore Francesco Tumminia. Un altro processo è in corso con il rito ordinario.