nonché al di lui figlio 33enne, Eduardo.
Tra i beni oggetto del sequestro figurano un terreno, diverse unità locali, siti a Racalmuto, conti correnti bancari e postali,
libretti di deposito ed una società di movimento terra e lavori edili.
Cino, prima del suo arresto, era ritenuto inserito nella famiglia mafiosa di Racalmuto, già contrapposta al clan SOLE appartenente alla Stidda, nella cruenta guerra di mafia verificatisi nell’agrigentino agli inizi degli anni ’90.
Da venditore ambulante di alimenti, negli anni ’90, successivamente, aveva intrapreso un’attività di vendita di materiale edile. E' stato accusato da alcuni collaboratori di giustizia di aver partecipato alle riunioni della famiglia mafiosa svolte subito dopo la “prima strage di Racalmuto” del 23 luglio 1991, per decidere la riorganizzazione della cosca mafiosa, la partecipazione dei nuovi affiliati, la strategia di attacco agli uomini della Stidda e i contatti con i vertici provinciali di Cosa Nostra. E’ stato provato che il predetto, subito dopo la strage abbia messo a disposizione del gruppo mafioso armi poi utilizzate in più occasioni in azioni omicidiarie contro esponenti stiddari.
Il 16 gennaio 2009, Cino è stato condannato dalla Corte d’Assise di Agrigento all’ergastolo per omicidio, associazione a delinquere di stampo mafioso ed altro (pena confermata nell’aprile 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo).
La Procura della Repubblica di Palermo ed il Tribunale di Agrigento hanno rilevato che gli investimenti e gli acquisti operati dai CINO non hanno trovato alcuna giustificazione nelle sue modeste disponibilità finanziarie, ritenendole, per la loro natura, frutto o reimpiego di attività illecite.