Il presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, deputato del Mpa, sono indagati per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta sulle cosche catanesi. I pm Gennaro, Fanara, Santonocito e Boscarino, come riportato da Repubblica, ritengono “provata l'esistenza di risalenti rapporti, diretti e indiretti, degli esponenti di Cosa nostra con Raffaele ed Angelo Lombardo”.
Il rapporto tra i fratelli Lombardo e le cosche del catanese, sempre a parere dei pm, non è stato né “occasionale né marginale ma cospicuo, diretto e continuativo” e ha consentito al presidente della Regione Sicilia di “avvalersi del costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata di stampo mafioso a lui vicina”.
I pm ritengono poi provata la “consegna a Raffaele Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa della provincia di Catania”.
Parole quelle scritte ben diverse da quelle pronunciate l'altro ieri dal procuratore D'Agata che aveva spiegato la decisione di non chiedere alcun provvedimento nei confronti del governatore "ritenendo che le risultanze dell'indagine non fossero sul piano probatorio idonee per adottare alcuna iniziativa processuale".
Eppure i pm ritengono riscontrata l'intercettazione in cui il boss Rosario Di Dio racconta di quella notte in cui Raffaele Lombardo "mangiando sette sigarette" si presentò a casa sua, sorvegliato speciale, per chiedere voti, "io che ho rischiato la vita e la galera per lui". Come ritengono provata "l'avvenuta consegna a Raffaele Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa della provincia di Catania". Soldi, quelli incassati dai Santapaola per l'estorsione al costruendo centro commerciale del Pigno, che avrebbero finanziato la campagna del 2008 per l'elezione del governatore. "Gli ho dato i soldi nostri, del Pigno, per la campagna elettorale", diceva il boss Aiello intercettato. Lo stesso boss che incredulo commentava la nomina di due magistrati, Massimo Russo e Giovanni Ilarda, nel governo Lombardo. "Ma che gli ha messo a due della Dda in giunta?". Una "strategia": così i pm catanesi giudicano la nomina dei colleghi-assessori. "Una strategia che mirava a presentarsi come soggetto politico che, godendo della fiducia di due autorevoli e noti magistrati siciliani, non era per ciò stesso sospettabile di contiguità alcuna".