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19/01/2011 05:58:32

Le compagnie petrolifere non mollano la presa da Pantelleria. E la Provincia...

Se sulla scia del disastro ecologico americano, causato da una piattaforma Bp nel Golfo del Messico, questa estate, la politica si era schierata per difendere a spada tratta il «mare Nostrum» e i siti patrimonio dell’Unesco come la Val di Noto, oggi sembrerebbe che nemmeno il decreto «anti-petrolio» , varato il 26 agosto scorso dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo riuscirà a proteggere l’area marina ricca di fauna, flora, vulcani sommersi e aree archeologiche. Secondo quanto riportato dai bollettini dell’inglese Northen Petroleum le piattaforme, installate a 13 miglia da Pantelleria, dovrebbero entrare in azione entro marzo 2011, nel rispetto del decreto che vieta le trivellazioni off-shore entro le 12 miglia dalla costa.

«Un miglio a mare non sposta assolutamente nulla – spiega all’Italpress Mario Cavaleri dell’associazione Marevivo -. Noi siamo per una politica di riduzione dei consumi. Abbiamo posto la necessità di un accordo con tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo che, in quanto mare chiuso, rischia un disastro ambientale molto più grosso di quello del Messico. Un incidente come quello – spiega Cavaleri - condannerebbe le sponde per decenni. La politica, per altro, nei convegni e nelle dichiarazioni di intenti che riguardano le trivellazioni vede tutti d’accordo, poi però, non si capisce come, si arriva ugualmente a «perforare». Il permesso della Petroleum, che scadeva nel 2010, a maggio è stato rinnovato dallo stesso ministero dello Sviluppo Economico che qualche tempo fa aveva negato l’autorizzazione ad una compagnia petrolifera citando il parere negativo dell’assessorato regionale all’Ambiente.

L’assessore Gianmaria Sparma ribadisce la posizione del suo assessorato: «In gioco c’è il nostro ecosistema marino. Se questa volta la Northen dovesse entrare in azione guideremo l’espressione pubblica per fermare questo scempio». L’allarme degli ambientalisti si incentra soprattutto sulla sicurezza: nessuna tutela è stata pensata per evitare che piattaforme petrolifere possano nascere su pendici di vulcani, lungo faglie sismiche, banchi corallini, zone di riproduzione per migliaia di specie marine. La Hunt Oil Company ha avanzato una richiesta di permesso a poche miglia di uno dei paradisi dei sub: l’isola Ferdinandea, di cui ad agosto si è sentito parlare a causa dell’esplosione di una sacca di metano. Ancor più complessa, infatti, è la situazione del mare agrigentino. La vicenda legata alla Val di Noto ha avuto inizio nel 2004, quando la Regione siciliana, presieduta allora da Salvatore Cuffaro, concesse alla Panther Oil Company i permessi per le trivellazioni nella zona. Nel 2005 esplose la protesta dei residenti che portò il governo regionale a bloccare i permessi nelle aree Unesco, ma, a distanza di pochi mesi, il Tar accolse il ricorso degli americani. A seguito di un appello lanciato da Andrea Camilleri sul quotidiano la Repubblica, nell'estate del 2007, furono raccolte oltre trentamila firme di cittadini contrari alle speculazioni sul territorio. I petrolieri sembravano aver rinunciato all'affare, ma nel frattempo, ricorsero ancora una volta al Tar. Il 27 ottobre 2010 il Consiglio di giustizia amministrativa ha annullato il ricorso vinto in primo grado dall'amministrazione comunale per bloccare l'attività di ricerca della società texana dando il via libera, dunque, alle trivelle. La «ultima spiaggia» sembra essere il «Piano d’azione Mediterraneo» (Map) del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep). Un piano per la creazione di una rete di aree marine protette nel Mediterraneo ratificato da 16 Paesi nel 1975, e rinnovato a distanza di 30 anni con la Convenzione di Barcellona, da 22 Paesi tra cui l’ Italia. 

Nel frattempo la Provincia organizza una campagna di studi. La cosa scatena l'ironia di Guido Picchetti, pantesco attentissimo a quanto sta avvenendo al largo della  sua isola:

La provincia di Trapani e il dipartimento di Ecologia dell'Università di Palermo mettono in campo una squadra che verificherà (testuale...) "gli eventuali studi" prodotti dalla Northern Petroleum, che intende continuare le ricerche di petrolio nel Canale di Sicilia e che nei prossimi giorni inizierà con le sue trivelle le prospezioni dei fondali al largo di Pantelleria.

Ma se è la stessa Provincia di Trapani uno degli enti istituzionali che non ha fatto a suo tempo alcuna opposizione (al pari del Comune di Pantelleria e della Regione Sicilia) al rilascio della concessione n° C.R147.NP alla Northern Petroleum, come pure avrebbe potuto e dovuto fare !!! Oggi la
società anglosassone ha tutto il diritto di operare come la legge le consente di fare, e di trivellare pertanto il fondo dello Stretto.. E la verifica degli studi risultanti dalle sue trivellazioni sul fondo del Canale non eviteranno certo il rischio di sempre possibili incidenti. O no ?

Il dipartimento di Ecologia dell'Università di Palermo dal canto suo farebbe molto meglio, a mio giudizio, a spendere qualche parola affichè si realizzi al più presto l'area protetta intorno all'Isola di Pantelleria prevista per legge fin dal 1991, la quale almeno amplierebbe a 12 miglia la fascia di salvaguardia intorno all'isola. E non solo. Potrebbe anche far sentire utilmente la sua voce affinchè si rispettino gli impegni presi dal'Italia con la Convenzione di Barcellona per la protezione del Mediterraneo, accelerando la creazione di quelle "aree marine in alto mare di speciale protezione" già individuate dal «Piano d’azione Mediterraneo» (Map) del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep), e il cui termine di realizzazione già previsto per il 2012 è stato di recente spostato al 2020 !!!.

Lo Stretto di Sicilia è proprio una di queste "Specialty Protected Areas", come pure la zona in alto mare a levante del delta del Nilo, dove Cipro e Israele proprio in questi giorni stanno avviando accordi per l'istallazione di impianti off-shore di sfruttamento energetico ! E non sono le uniche aree previste del Mediterraneo ... E senza la loro istituzione è facile prevedere che nel 2020 ci sarà dal punto di vista ambientale ben poco da tutelare. Povero Mare Nostrum !