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03/04/2012 10:53:36

Il botto di Pizzolungo si fa ancora sentire

Fu una strage. Restarono incolumi il magistrato, i tre agenti di scorta, l’autista della blindata del pm, furono dilaniati una donna, Barbara Rizzo ed i suoi due gemellini, Salvatore e Giuseppe Asta, di 6 anni. Erano su un’altra auto che al momento dell’esplosione fece da “muro” proteggendo le auto del pm e della scorta, dell’auto di Barbara Rizzo non restò nulla, altrettanto dei corpi della donna e dei suoi figli. E’ un botto che oggi solo chi non vuole sentire non sente.

Quello che è accaduto in questi 27 anni è incredibile. Cominciamo con la storia di quel pm, Carlo Palermo, venuto a Trapani, “espulso” dalla Procura di Trento dove lavorava perché indagava sui conti illeciti della politica del Psi. Craxi era presidente del Consiglio, e Carlo Palermo indagando era finito con l’imbattersi nei conti del capo del Governo. Venne a Trapani per continuare quel lavoro, investigava sui canali della droga che dall’est europeo arrivava fino in Sicilia, su quelle stesse rotte venivano fatte viaggiare armi e componenti che servivano a fabbricare pericolose bombe. Il suo lavoro a Trento aveva trovato punto d riferimento a Trapani nel lavoro di un altro pm, Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Ciaccio Montalto fu ucciso dalla mafia il 25 gennaio 1983, Carlo Palermo arrivò a Trapani intendendo riprendere in mano quei fascicoli senza dimenticare i suoi. Solo 40 giorni resistette, poi il “botto” di Pizzolungo. Lo Stato anzicchè alzare la protezione attorno al magistrato sfuggito a quell’agguato dapprima gli propose una identità nuova e un rifugio dorato in Canada, poi dinanzi alle resistenze del pm fece in modo di farlop andare via per sempre, oggi Carlo Palermo e oramai da tanto tempo non è più pm, ma fa l’avvocato. Lo Stato ha deciso che lui sopravissuto a Pizzolungo in realtà è come se fosse morto.

Lo Stato avrebbe potuto reagire diversamente già solo per onorare le vittime di quella strage, ma anche loro non hanno avuto sorte diversa se parliamo di oblio. La partecipazione al funerale di colpo svanì, fu Nunzio Asta, marito e padre delle vittime, a volere un cippo a ricordo dei suoi cari sul luogo della strage, lo pagò lui, e dovette anche “saldare” la tassa automobilistica per quell’auto distrutta dall’esplosione e per la quale lo Stato continuò per anni a chiedere il pagamento dell’imposta di circolazione. La città poi un giorno decise di dimenticare Nunzio e sua figlia, Margherita, che aveva 10 anni quando quel giorno di aprile restò orfana e senza i suoi fratellini. E questo accadde quando Nunzio volle darsi una nuova famiglia, un’altra mamma a Margherita, a restituirle quella compagnia che la mafia le aveva strappato via. Nella città dove si sosteneva che la mafia non esisteva non poteva accadere altrimenti che pietra dello scandalo divenisse Nunzio Asta e non i mafiosi che gli avevano strappato i suoi cari, stritolati e fatti a pezzi dal tritolo mafioso. Nunzio Asta è morto di crepacuore, e la città reagì ancora male quando un giorno decise di uscire dal silenzio Margherita Asta: forse i trapanesi l’avrebbero voluta silenziosa e stretta nel lutto perenne, quando decise di diventare testimone del male della mafia più che sostegno cominciò a raccogliere critiche. Erano gli anni in cui i Tribunali assolvevano gli autori della strage, che poi si scoprì essere davvero gli autori ma per la nostra legge chi è assolto in via definitiva da un reato per lo stesso non può essere più processato, erano gli anni in cui del 2 aprile se ne ricordava solo quel giorno per permettere alla politica di fare passerella. Margherita Asta protestò contro questo stato di cose e fu indicata come persona capace solo a strumentalizzare, ancora un colpo a favore della mafia. Nel frattempo, ed è storia recente, c’è chi pensava a costruire uno stabilimento balneare sul luogo della strage, così per cancellare del tutto quella memoria. Per fortuna questo non è accaduto perché affianco ad una politica con la “p” minuscola ce ne è una con la “P” maiuscola, e l’attuale sindaco di Erice (Pizzolungo è frazione del Comune di Erice, Comune “attaccato” geograficamente a Trapani), Giacomo Tranchida, ha fatto si che il ricordo non finisse con il disperdersi. Margherita Asta oggi è una delle più attive dentro Libera, l’associazione fondata da don Luigi Ciotti, ma la sua storia è conosciuta in luoghi lontani da Trapani, in città è come se restasse scomoda testimone.

C’è un filo rosso sangue che attraversa il nostro Paese, che parte dal 1984, e forse da prima ancora, dai 15 morti del treno «rapido 904», antivigilia di Natale del 1984, passa per la strage di Pizzolungo e l’attentato (1989) all’Addaura (fallito) contro Giovanni Falcone e arriva alle stragi del 1992, fino a quella di via D’Amelio dove furono uccisi il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Supera lo stesso 1992 e tocca le stragi del 1993 quelle che il sanguinario assassino capo mafia latitante Matteo Messina Denaro volle fare per lanciare terribili segnali, dare la spallaata a quella prima Repubblica che alla fine non aveva garantito i mafiosi che cercavano le assoluzioni in Cassazione.

E’ un fatto il coinvolgimento di Totò Riina, il capo dei capi della mafia siciliana, nella strage del treno 904 (dove è stato già condannato il cassiere della mafia siciliana Pippo Calò, lo stesso che doveva avvicinare i giudici di Caltanissetta che stavano processando gli esecutori della strage di Pizzolungo, quelli poi assolti). L’attentato al treno 904 avvenne l’antivigilia di Natale del 1984. Riina oggi risulta anche condannato (in via definitiva) anche per il “botto” di Pizzolungo, assieme al capo mafia di Trapani, Vincenzo Virga, nonchè ai palermitani Balduccio Di Maggio e Nino Madonia: le sentenze hanno «sancito» che il tritolo usato a Pizzolungo nel 1985 era lo stesso di quello usato nel 1984 per la strage del treno 904 e da Nino Madonia per confezionare la bomba dell’Addaura nel 1989. Madonia è stato condannato sia per Pizzolungo quanto per l’Addaura. L’autobomba di Pizzolungo fu preparata invece nella officina di Castellammare del Golfo di Gino Calabrò, l’uomo delle stragi del 1993 e che doveva fare scoppiare una autobomba in via dei Gladiatori, vicino lo stadio Olimpico di Roma, una domenica di quel 1993, per fare strage di poliziotti e carabinieri. Oggi Madonia e Calabrò sono in carcere, ma tra i detenuti comuni, per loro niente 41 bis.

Attorno a questi gravissimi fatti criminali si muove un panorama che è fatto di mafiosi, massoni, uomini dei servizi segreti, deviati o non deviati. E però a Trapani è più facile parlare dell’antimafia che non dei mafiosi e delle loro malefatte.

“Qui – dice Salvatore Inguì, coordinatore provinciale a Trapani di Libera – restano evidenti segni di cedimento e di debolezza, c’è chi pensa davvero che la mafia viva attorniata da un certo romanticismo”. “Qui – commenta il pm Andrea Tarondo, magistrato della Procura di Trapani – siamo ancora ad attendere risposte ai perché di tanti delitti, Ciaccio Montalto, la strage di Pizzolungo, l’omicidio di Mauro Rostagno, il tentato omicidio del dottore Rino Germanà. Abbiamo sconfitto l’oblio ma dobbiamo fare impegno perché si risponda a questi perché, è questo il debito che abbiamo con le vittime della mafia e con i loro familiari”.

Ristabilire una stagione. Per esempio quella che nel 2006 portò alla cattura del cosidetto fantasma di Corleone, Bernardo Provenzano. Artefice di quell’arresto fu Giuseppe Gualtieri allora capo della Mobile a Palermo, oggi a capo della direzione nazionale della Polizia Scientifica (a Gualtieri il Comune di Erice ha appena consegnato la cittadinanza onoraria): “Quella cattura fu permessa da una semplice circostanza, e cioè che in quello scenario ognuno faceva la sua parte, i magistrati, le forze dell’ordine, la società civile, i cittadini, tutti impegnati sul fronte del rispetto dei diritti e dei doveri, convinti che il primo dovere è quello di far prevalere i propri diritti, smontammo così la cortina che pretendeva di continuare a proteggere il boss”.

Oggi le cose sono cambiate. Si mette in forse addirittura l’esistenza del concorso esterno alla mafia. “Oggi chi lo mette in dubbio – aggiunge il pm Andrea Tarondo – dimentica che per proteggere la zona grigia dove vive il concorso esterno, la mafia non ha avuto titubanze nell’alzare di torno la sua violenza, la mafia ha messo in campo le autobombe ogni qual volta c’era qualcuno che si avvicinava alla zona grigia delle collusioni tanto da scoprirla”.

La realtà di oggi. “Oggi si sa benissimo chi sono i mafiosi e il potere va a braccetto con questi soggetti, il potere politico che per primo dovrebbe dire che “con queste persone non ci voglio avere a che fare” eccolo invece frequentarlo e dividere momenti di vita, c’è un numero spropositato di politici trapanesi che oggi hanno contatto con i mafiosi, ed è anche questo che oggi rende difficoltoso il nostro lavoro di magistrati per fornire risposte ai perché di tante stragi e di tanti delitti, oggi cominciando da Trapani non c’è desiderio da parte della politica di mantenere una distanza dalla mafia”

Rino Giacalone