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09/07/2012 07:45:35

Il racconto dei marinai di Mazara: "Così i libici ci hanno sparato"

Innanzitutto, raccontano, "I miliziani libici ci hanno sparato, per bloccare le nostre barche", il "Maestrale" , il "Boccia II" e l' "Antonino Sirrato". Ad agire è stato  un gruppo  di soli cinque uomini su un barchino in legno di appena cinque metri con una scritta inneggiante alla liberazione. Cinque uomini senza alcuna divisa, ma armati fino ai denti. Sono sbucati dal nulla la sera del 7 giugno scorso e in un paio di ore hanno sequestrato tre motopescherecci con a bordo 19 uomini, 12 mazaresi e sette tunisini.

"Avevano i coltelli in bocca, in mano un fucile e attaccata alla cintola le bombe, non hanno parlato all`inizio ma hanno sparato. Una cinquantina di colpi, tre sono andati a finire lungo la fiancata del peschereccio, uno dentro. Ci hanno fatto capire di andare tutti a poppa e di seguirli fino a Bengasi".

 "A Bengasi poi dopo un giorno ci hanno condotto in carcere. Disumane le condizioni in cui ci hanno lasciato. Quando dalla televisione hanno sentito dei cocci di anfora trovati nel nostro peschereccio, altri detenuti ex militari, armati anche loro fino ai denti sono venuti nella nostra camerata e ci hanno gridato: "Italiani stasera vi tagliamo la gola!". Se non fosse stato per i nostri colleghi tunisini non so come sarebbe finita. Sono stati loro a mediare".

Il Maetrale, il Boccia e il Sirrato sono arrivati al porto grande di Mazara sabato attorno alle 22,15, accolti da parenti e qualche curioso. Con loro anche il vescovo monsignor Domenico Mogavero che in queste settimane ha seguito la vicenda tramite un contatto diretto con il console italiano a Bengasi Guido De Sanctis.

"Oltre al danno la beffa" racconta il comandante del Boccia, Pino Russo. "Eravamo stati assolti e quindi dopo avere pagato l`ammenda di 4 mila dinari potevamo lasciare Bengasi. Invece no, ci hanno tenuti altri 24 ore, avevano deciso i miliziani che dovevamo restare ancora. Poi alla fine abbiamo capito che volevano altro. Ci avevano già preso il pescato, hanno voluto 19 mila euro per uscire dal carcere, 4 mila dinari per andare via, si sono presi tutto l`armamento della pesca di tutti i pescherecci, circa 250 mila euro di danni. Appena l`ultimo militare è sceso dalle imbarcazioni siamo scappati di corsa. Questi sono animali, è un caos totale".

Commenta L'armatore del Maestrale Vito Margiotta: '''Il bilancio di questa vicenda è aver messo in ginocchio le nostre aziende con pesanti ricadute anche per le famiglie dei marinai. Il sequestro del pescato, delle attrezzature e delle rete, insieme a un mese inattività ha prodotto un danno economico di circa 200-250 mila euro ad azienda, che avrà evidenti ripercussioni anche per le famiglie dei tre equipaggi. Non andremo per mare, verosimilmente, per almeno un altro mese''.

E a confermare la drammatica situazione al momento a Bengasi è proprio Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto della Pesca, che per due settimane è rimasto in Libia a cercare di mediare con l`aiuto del console De Sanctis: "Al momento a Bengasi soprattutto ci troviamo di fronte a dei cani sciolti. Non c`è alcuna autorità, al di sopra dei miliziani. Tutti armati e pericolosissimi. Non abbiamo voluto subito raccontare cosa era accaduto nell`immediatezza del sequestro anche se avevamo detto che si era trattato di un vero atto di pirateria proprio per queste modalità per non fare preoccupare le famiglie a Mazara. Ma sappiamo che gli stessi miliziani avevano sparato contro un peschereccio tunisino, uccidendone il comandante e ferendo gravemente due pescatori. Quindi questa è la situazione. I giudici hanno un potere limitato".

Una rappresentanza degli equipaggi incontrerà martedì pomeriggio a Mazara del Vallo il ministro per la Cooperazione internazionale e l`integrazione, Andrea Riccardi.