La procedura era già nota dalla corsa udienza, quando i pubblici ministeri, gli «aggiunti» Michelangelo Patanè e Carmelo Zuccaro avevano contestato l’aggravate dell’art. 7 (il metodo mafioso) nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Di fronte alla nuova accusa, infatti, il giudice ha dovuto farsi da parte perché il reato mafioso non è materia da Tribunale monocratico ma di Tribunale collegiale.
Ieri mattina, uno degli avvocati di Lombardo, Alessandro Benedetti, aveva avanzato un’eccezione sostenendo che dopo la contestazione dell’art. 7, i pm avrebbero dovuto immediatamente eccepire l’incompetenza del giudice.
Visto che la cosa non era avvenuta secondo la norma - a giudizio del difensore - la nuova contestazione era da considerarsi decaduta. Anche Lombardo in aula ha chiesto che il processo continuasse.
Il presidente della Regione ha più volte sostenuto di essere stato «scippato» del processo nel quale sarebbe stato assolto «perché le dichiarazioni dei pentiti sono enormi sciocchezze».
La Procura ha chiesto invece al presidente del Tribunale di dichiararsi incompetente e di restituirgli gli atti. E quest’ultima è stata la decisione del giudice Fichera. Adesso l’iter prevede che gli atti ritornino alla Procura, che i pm
formulino la richiesta di rinvio a giudizio con l’aggravante mafiosa e che il fascicolo vanga assegnato al gip che stabilirà la data dell’udienza preliminare.
Poichè è ststa già aperta un’udienza preliminare, a carico degli stessi imputati (Lombardo e il fratello), per gli stessi episodi e per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (imputazione coatta decisa dal gip Luigi Barone)
il passo successivo sarà la riunificazione dei due procedimenti in uno, quello che attualmente si sta celebrando davanti al gup Marina Rizza e per il quale la prossima udienza è fissata a lunedì 23 luglio.
In quella data è previsto il controesame del maggiore dei Ros, Luigi Arcidiacono. Poi l’udienza dovrebbe essere aggiornata a dopo l’estate.