Labita fu assolto dall'accusa di associazione mafiosa defintivamente nel dicembre del '92, accusa per la quale fu sottoposto a custodia cautelare per oltre due anni nel carcere di Pianosa. Nonostante l'assoluzione Labita fu sottoposto alla misura della sorveglianza speciale e gli fu confiscato il patrimonio. Nel 2000 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo condannò lo Stato Italiano per le torture dal Labita subite nel carcere di Pianosa e per l'applicazione della misura di prevenzione personale.
Da li è iniziata una lunga battaglia giudiziaria che finalmente ha visto l'esito auspicato.
"E' un risultato senza precedenti - commenta l'avvocato Baldassare Lauria - che vede il riconoscimento da parte dell'Autorita Giudiziaria dell'incompatibilità della misura di prevenzione rispetto alla assoluzione nel processo penale dall' accusa di associazione mafiosa".
La CEDU aveva infatti stabilito che non era Legittima l'applicazione della misura di prevenzione sulla scorta degli stessi elementi probatori ritenuti insufficienti nel processo penale.
La Corte di cassazione con la sentenza del novembre 2011, cui aveva ricorso il Labita, annullò una precedente ordinanza della corte di Appello, rinviando alla stessa per un nuovo esame. Ieri la decisione defintiva.
Benedetto Labita, difeso dagli avvocati Baldassare Lauria e Manuela Canale, può finalmente rientrare in possesso del suo patrimonio dopo venti anni. "Il danno subito dal Labita è notevole - coclude Lauria - e a breve porteremo nuovamente la Repubblica Italiana innanzi la Corte Europea per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni. La sentenza di oggi avvicina l'Italia alle democrazie europee più evolute e apre una nuova frontiere nei procedimenti per la confisca antimafia".