Con lui compariranno, il 17 gennaio, dinanzi il Tribunale, Laurentia Potec, Stefano Parisi, Girolamo Chiara, Francesco Vultaggio, Ioana Poterasu, Sicura Mainalescu, Antonino Tranchida, Vito Pilato, Vito Peraino e Mariana Stanca Lupascu.Avrebbe favorito l'ingresso in Italia di cittadini romeni impiegati in nero presso le abitazioni di liberi professionisti, funzionari e commercianti. Un dodicesimo indagato ha chiesto di accedere a rito alternativo e definirà la sua posizione separatamente. Giuseppe Favara è accusato di avere agevolato l'arrivo dei romeni ad altri viene contestato solo di avere assunto alle proprie dipendenze dei lavoratori impiegandoli come manodopera in assenza di regolare contratto di lavoro dipendente. Gli imputati saranno assistiti dagli avvocati Vito Galluffo, Eugenio D'Angelo, Michele Magaddino, Michele Cavarretta e Enrico Sinatra.
Le indagini, condotte dal personale della Guardia di Finanza e della squadra mobile, erano state avviate sette anni fa a seguito della denuncia di una cittadina romena. La donna rivelò l'esistenza di un'organizzazione criminale che agevolava l'ingresso e la permanenza di clandestini dalla Romania. Molti arrivavano in Italia muniti solo del permesso turistico. Venivano impiegati in nero presso abitazioni private o nei campi. Costretti a lavorare senza alcuna tutela o garanzia, anche per quattordici ore al giorno, con retribuzioni che non superavano i cinquecento euro mensili. Ad ogni lavoratore veniva richiesto, al momento dell'arrivo a Trapani, il pagamento di una somma di denaro per l'intermediazione svolta.
Nel caso di donne giovani, spiegarono gli investigatori in occasione degli arresti, Giuseppe Favara avrebbe preteso, oltre alle somme di denaro, anche prestazioni sessuali. Talvolta, è emerso nel corso delle indagini, non potendo saldare il debito contratto con l'organizzazione al momento dell'arrivo in Italia, i lavoratori venivano privati del passaporto.
PELLERITO. Il procuratore generale ha chiesto in Apello la conferma della sentenza del Tribunale che, un anno fa, ha inflitto al consigliere provinciale Piero Pellerito sei anni per falso. Pellerito (sospeso dal prefetto ma mai decaduto perché non è mai subentrato il primo dei non eletti), è accusato di essersi prodigato per fare falsificare il referto di un operaio rimasto ferito in un cantiere edile. L'episodio è emerso nell'ambito di un'inchiesta di mafia. Secondo gli inquirenti, Pellerito, l'infermiere - all'epoca in servizio all'ospedale di Alcamo - interpellato dall'imprenditore Liborio Pirrone dopo l'incidente, si sarebbe attivato per falsificare il referto. Il consigliere non ha mai negato di avere incontrato il titolare dell'impresa ma ha sempre sostenuto di essersi limitato a condurlo presso il pronto soccorso. «Fui contattato telefonicamente da Liborio Pirrone - ha spiegato nel processo di primo grado - Mi disse che doveva modificare un referto perché c'era un errore. Non mi sorpresi perché accade spesso che qualcuno torna in ospedale per delle modifiche. Quando mi accorsi che sul referto non c'era il suo nome gli dissi che non era possibile modificarlo senza la presenza dell'interessato. Tornò trafelato insieme con il dipendente. Li accompagnai dal dottore Arcangelo Calandra e me ne andai». Nel processo è imputato anche Diego Melodia, ritenuto capomafia di Alcamo, chiamato a rispondere di associazione mafiosa, condannato in primo grado per fatti diversi, a vent'anni. Anche per lui l'accusa ha chiesto la conferma della pena. La sentenza è attesa per il prossimo 25 ottobre. La Corte di Cassazione ha intanto annullato, con rinvio, la sentenza nei confronti del dottore Arcangelo Calandra.