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22/03/2013 05:34:53

Colpì un poliziotto, condannata l'anarchica Calore. Per la morte del piccolo Kevin Pinto chiesto un milione

Fermata il 15 febbraio 2012 dalla polizia ad Alcamo, la giovane si scagliò prima contro un sovrintendente che si apprestava a metterle le manette ai polsi tentando allo stesso tempo d'impossessarsi della pistola che lo stesso custodiva nella fondina. Poi aggredì un altro sovrintendente intervenuto per bloccarla. Infine, si scagliò contro un terzo sovrintendente colpendolo al volto con una violenta testata e procurandogli delle lesioni. La giovane sostenne, dopo l'arresto, di essere stata vittima di aggressione da parte degli agenti. Circostanza smentita dagli inquirenti. Chiamata a rispondere di violenza a pubblico ufficiale e lesioni, Maddalena Calore, assistita dall'avvocato Pierpaolo Montaldo del Foro di Catania, ha chiesto di definire la sua posizione con il rito abbreviato. 

MAXI RISARCIMENTO. Ha anche uno strascico in sede di giustizia civile la morte del piccolo Kevin Pinto, che la sera del 31 luglio 2005, all'interno della pasticceria «Il Ghiottone» di corso Calatafimi, morì schiacciato sotto una pesante scultura in legno. Il bambino avrebbe compiuto 4 anni il 5 settembre. La tragedia avvenne sotto gli occhi dei genitori, Roberto Pinto e Rosa Torrente, che non si accorsero che il figlio stava per far vacillare la pesante scultura (una statua di circa 60 chili). Adesso, i genitori hanno chiesto alla titolare della pasticceria, Annalisa Busetta, un risarcimento danni di un milione e 187 mila euro. La donna ha patteggiato una condanna a sei mesi per omicidio colposo. Per il legale, l'avvocato Nicola Samaritano, la richiesta è piuttosto esorbitante. Anche perché, a suo giudizio, ci fu corresponsabilità. «La morte del piccolo Kevin - dichiara Sammaritano - ha gettato nello sconforto tutti noi e in modo particolare la mia cliente. Tuttavia riteniamo che, vista l'età del bimbo, si possa parlare di corresponsabilità dei genitori che erano presenti al momento del tragico incidente». Nel corso dell'ultima udienza davanti al giudice civile Gianluca Fiorello, hanno testimoniato il marito della Busetta, Giuseppe Falco, e Walide Mbarek, il ragazzo che all'epoca lavorava nella pasticceria teatro della tragedia. Falco ha detto di avere aiutato Pinto a sollevare la pesante statua etnica.

OMICIDIO E OCCULTAMENTO DI CADAVERE. Ritenendo inammissibili i ricorsi sia di accusa e parte civile («fu omicidio volontario»), che della difesa («fu legittima difesa»), la Cassazione ha confermato la sentenza con cui il 3 ottobre 2011 la Corte d'Assise d'Appello di Palermo condannò Fabrizio Castelli, 33 anni, di Salemi, tossicodipendente e pregiudicato, a 11 anni di carcere per omicidio preterintenzionale e occultamento di cadavere. Anche per la Suprema Corte si è trattato, dunque, di delitto «preterintenzionale». Spingendo il 43enne tunisino Moussa Grine, ruzzolato per le scale, Castelli non voleva, insomma, provocarne la morte. I giudici palermitani, accogliendo allora la tesi degli avvocati difensori Arianna Rallo e Stefano Pellegrino, ridussero la pena inflitta in primo grado (15 anni e mezzo di carcere) dal gup di Marsala Vito Marcello Saladino al giovane salemitano. Castelli fu arrestato dai carabinieri il 7 febbraio 2009 con l'accusa di avere ucciso Grine, il cui corpo fu trovato, carbonizzato, nella chiesa della Madonna della Catena di Salemi. Nel giro di poche ore i carabinieri individuarono il presunto assassino e il movente. Si accertò, inoltre, che il delitto era stato commesso un mese prima. La vittima, sposata, era in regola con il permesso di soggiorno e da alcuni anni viveva a Salemi, dove lavorava come bracciante agricolo stagionale. La sera in cui fu ucciso, Grine avrebbe consumato, con Castelli, bevande alcoliche in un locale del centro storico salemitano. Poi, i due si sarebbero spostati nella casa canonica, continuando a bere. Il tunisino, però, sarebbe rimasto senza soldi e avrebbe preteso denaro da Castelli. Ne nacque una lite al culmine della quale il giovane diede uno spintone all'extracomunitario che sbattendo la testa sui gradini morì sul colpo. Castelli avrebbe, quindi, trascinato il cadavere sino alla chiesa e dopo giorni gli avrebbe dato fuoco.