Ed è in quel momento che si compie una vera e propria bestemmia, anche se magari si usano santuari, preghiere e forme espressive che appartengono alla religione». Lo ha detto oggi a Catanzaro il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, nel corso del convegno dal titolo «Religiosità: tra fede e superstizione» svoltosi nell'aula magna dell'università «Magna Graecia» nell'ambito dell'iniziativa «Il cortile dei gentili».
All'incontro, moderato dal vaticanista del Tg2, Enzo Romeo, hanno partecipato anche Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, e Michele Prestipino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che sono intervenuti dopo i saluti del rettore dell'università di Catanzaro, Aldo Quattrone, e dell'arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone.
«Bisogna distinguere - ha detto Ravasi - la fede dalla religione: la prima è il punto più alto della passione umana, è ricerca del senso ultimo dell'esistenza e della trascendenza. La religione, invece, è una sorta di comportamento globale e sociale, ma che può essere, in una forma completamente distorta, privo di fede, una sorta di involucro vuoto. Così si spiega la falsa religiosità dei mafiosi, marcata con altarini e processioni, manifestazione che potremmo derubricare a vuota superstizione».
Ravasi ha parlato anche del rapporto tra fede e opere e dell'impegno sociale dei credenti. «Laddove c'è corruzione e falsa religiosità - ha detto - il vero credente deve mettersi in moto e adoperarsi per trasformare la sua fede in impegno etico e sociale. Non si può tacere limitandosi alla preghiera per chi sbaglia, non è questa l'autentica unione tra fede e religione: il credente deve entrare nella società e combattere le strutture di peccato del mondo».