Dinanzi al gup Giovanni Francolini il processo si avvia verso la discussione finale. A prendere la parola saranno saranno i pubblici ministeri Paolo Guido e Andrea Tarondo. D’Alì è sotto processo per avere contribuito, secondo la Procura, che ne ha ottenuto il rinvio a giudizio dopo diverse richieste di archiviazione, “consapevolmente e fattivamente” al rafforzamento della presenza di Cosa nostra nel territorio “mettendo a disposizione anche proprie risorse economiche ma anche il suo ruolo politico". La principale delle accuse rivolte al senatore D’Alì è quella di avere avuto rapporti stretti con i boss Messina Denaro di Castelvetrano: Francesco Messina Denaro e suo figlio, Matteo, oggi ritenuto il capo di Cosa nostra, sono stati suoi campieri. Risulta agli atti tra D’Alì e i Messina Denaro la vendita fittizia di un terreno, nella contrada Zangara di Castelvetrano. Si tratta di una vendita che per la procura servì a coprire una operazione di riciclaggio per 300 milioni di vecchie lire. Per la difesa la vicenda “è rimasta penalmente non trattata per 11 anni e che fu oggetto anche di una archiviazione”. Il parlamentare raccontando dei contatti con i Messina Denaro ha parlato di un “rapporto” ereditato dai suoi avi e che la famiglia D’Alì subì anche la violenza mafiosa con il sequestro di Antonio D’Alì Staiti
Per i magistrati dell'accusa sono provati i suoi rapporti con altri mafiosi come il trapanese Vincenzo Virga, il valdericino Tommaso Coppola, il pacecoto Ciccio Pace e con l’ex uomo d’onore adesso “collaborante”, ex patron del Trapani Calcio, Nino Birrittella. Le altre accuse riguardano soprattutto gli appalti e per “avere cercato di inibire ed ostacolare le iniziative a sostegno delle imprese sequestrate o confiscate (quali ad esempio la Calcestruzzi Ericina)”. Al senatore viene contestato di “avere contribuito alla espansione di altre imprese, come la Sicilcalcestruzzi e la Vito Mannina”, “intervenendo su procedimenti relativi ad appalti pubblici, come quelli inerenti la Funivia di Erice, la valutazione di congruità di un edificio destinato a caserma dei carabinieri a San Vito Lo Capo, la erogazione di finanziamenti pubblici legati al patto territoriale Trapani Nord, la messa in sicurezza del porto di Castellammare del Golfo”. Tutto questo – secondo l’accusa “per favorire il controllo di attività economiche da parte di Cosa Nostra”. “D'Alì con la mafia non c’entra nulla, anzi l’ha subita e la sua unica colpa è di non essersi reso conto di chi si muoveva intorno a lui”, dicono i difensori.
Completano il faldone dell'inchieste le dichiarazioni dell'ex presidente del consiglio comunale di Villabate, in provincia di Palermo, Francesco Campanella, che oggi sconta una condanna per mafia, ed è collaboratore di giustizia. Sostiene di aver ricevuto dal capomafia di Villabate Nino Mandalà la rassicurazione che “con D’Alì si poteva parlare”. Campanella aveva intenzione di buttarsi nel business delle sale bingo e per questo chiese consiglio a Mandalà. C'è poi la vicenda della rimozione dell'ex prefetto Fulvio Sodano. Altre dichiarazioni sono quelle del collaboratore di giustizia Giovanni Ingrasciotta che ha raccontato quando D’Alì, quando ancora non era senatore, avrebbe intercesso a favore di un titolare di una finanziaria vicina ai Messina Denaro.
Processo Campus Belli - Nuova udienza del processo Bonafede +6 , scaturito dall’operazione “Campus Belli”. Il 16 dicembre 2011 un’operazione della DDA di Palermo portò all’arresto dell`ex sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, che era a capo di una giunta di centrosinistra. In seguito il Comune venne sciolto per infiltrazioni mafiose. Dalle indagini, infatti, emerse che il sindaco Caravà, secondo l`accusa, intratteneva rapporti con esponenti della locale famiglia mafiosa capeggiata da Leonardo Bonafede, assieme a Cataldo La Rosa e Simone Mangiaracina, considerati il "braccio operativo" di Bonafede, Gaspare Lipari, che avrebbe svolto una funzione di "collegamento" tra il sindaco e il capomafia e gli altri imputati, Antonino Moceri e Antonio Tancredi, titolari dell'Eurofarida, azienda che si occupava della lavorazione delle olive. Ieri, nell'aula Paolo Borsellino del Tribunale di Marsala sono stati ascoltati i testi citati dalla difesa. Il primo ad essere stato escusso è stato il luogotenente Andrea D'Incerto, comandante dall'aprile del 2003 della stazione dei Carabinieri di Campobello Di Mazara.
D'Incerto ha confermato l'attività di mediatore nella compravendita delle olive dell'imputato Simone Mangiaracina. Rispondendo alle domande sull'imputato La Rosa, ha detto che ha lavorato fino al 2009 per Bonafede e anche per l'Eurofarida. D'incerto ha dichiarato di aver conosciuto Caravà nel 2003, quando era consigliere comunale di opposizione con la giunta guidata dal sindaco Daniele Mangiaracina. Alla domanda, se ha mai partecipato a qualche seduta di Consiglio Comunale con Sindaco Caravà, ha ricordato la seduta del 10/07/2006 in cui c'erano molto degli imputati del processo e molte altre persone che entrarono nella stanza del Sindaco. Ha anche ricordato l'attivazione da parte di Caravà di un servizio di sicurezza cittadino con le telecamere collegate alla stazione dei Carabinieri, e il verificarsi di attentati e intimidazioni nei confronti delle liste simpatizzanti o elettori di Caravà.
Il luotenente ha anche ricordato l'episodio di una manifestazione antimafia con il Sindaco Caravà che prevedeva l'assegnazione di un bene immobile confiscato alla famiglia Spezia. D'Incerto ha detto che è rimasto colpito dal fatto che il buffet di quella manifestazione era servito da Filippo Sammartano, esponente della famiglia mafiosa locale e già condannato per mafia. Di quell'episodio il luogotenente fece una relazione di servizio. Alla prossima udienza, fissata l'8maggio, si continuerà con l'esame degli imputati.