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09/05/2013 04:24:58

Bonura e la mafia di Alcamo, oggi udienza preliminare. Processo D'Alì, cominciata la requisitoria

  Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata, incendio, violazione di domicilio aggravata e violazione delle prescrizione derivanti dalla Sorveglianza Speciale di P.S..  Al centro delle indagini della Procura antimafia c'è Antonino Bonura, imprenditore alcamese di 50 anni, residente a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano.  I pubblici ministeri Carlo Marzella, Paolo Guido e Pieralngelo Padova hanno chiesto il rinvio a giudizio, oltre che del presunto boss, di altre dieci persone coinvolte la scorsa estate nell'operazione antimafia denominata "Crimiso" : Antonino e Vincenzo Bosco, rispettivamente di 57 e 49 anni, di Castellammare del Golfo, Sebastiano Bussa, 37 anni, di Castellammare del Golfo, Vincenzo Campo, 44 anni, di Alcamo, Rosario Leo, 43 anni, di Vita, Salvatore Mercadante, 28 anni, di Alcamo, Nicolò Pidone, 50 anni, di Calatafimi, Diego Rugeri, 32 anni, di Alcamo, Giuseppe Sanfilippo, 29 anni, di Alcamo, e Michele Sottile, 50 anni, di Castellammare del Golfo. Si tratta di soggetti ritenuti affiliati o a disposizione delle famiglie mafiose di Alcamo, Castellammare del Golfo e Calatafimi. Secondo gli investigatori, dopo i numerosi arresti operati dalle forze dell'ordine la mafia alcamese s'era riorganizzata riprendendo il controllo del territorio. A capo del mandamento era stato chiamato, quale reggente, Antonino Bonura. Le indagini hanno consentito, oltre che di ricostruire l'organigramma delle famiglie, di individuare gli autori di una serie di estorsioni e danneggiamenti.  Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Sebastiano Dara, Nicolò Gervasi, Baldassare Lauria, Raffaele Bonsignore, Antonino Mormino, Pietro Riggi, Anna Maria Benenati, Vito Mancuso, Dario D'Agostino e Caterina Gruppuso. 

AGRIGENTO. Prenderà il via il 20 maggio davanti al Gup del Tribunale di Palermo, Daniela Cardamone, il processo scaturito dal blitz antimafia “Nuova Cupola”. Cinquantuno presunti boss e affiliati a Cosa Nostra compongono la lista degli imputati del più grosso processo di mafia degli ultimi decenni. Lunghissimo l’elenco delle “persone offese” tutte presunte vittime del racket delle estorsioni che potranno costituirsi parte civile e chiedere la condanna dei loro presunti estorsori oltre al risarcimento dei danni. Lo stesso potranno fare gli enti pubblici, Comuni, Provincia e Regione, e le numerose associazioni antiracket sprse nel territorio provinciale. Il blitz scattò il 26 giugno dell’anno scorso. Cinquantaquattro le persone fermate dagli agenti del Commissariato di Porto Empedocle, agli ordini del vice questore aggiunto Cesare Castelli, e dai poliziotti della Squadra Mobile di Agrigento, diretti dal dirigente Corrado Empoli. L’inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pubblici ministeri, Emanuele Ravaglioli, Giuseppe Fici e Rita Fulantelli, ha individuato il nuovo organigramma di Cosa Nostra agrigentina.

D'ALI'. Non hanno dubbi i pubblici ministeri Paolo Guido ed Andrea Tarondo: il senatore Antonio D'Alì sarebbe stato vicino ai boss di Castelvetrano, Francesco Messina Denaro prima e il figlio Matteo dopo. Le prove, ritenute in origine insufficienti dagli stessi magistrati tanto da chiedere l'archiviazione, si sarebbero rafforzate, tanto da poter affermare, dice il Pm Guido che "Antonio D'Alì sarebbe stato per lungo tempo consapevolmente a disposizione della mafia". Secondo la pubblica accusa c'è anche la prova del rapporto stretto tra D'Alì e i Messina Denaro, ed è la compravendita fittizia del terreno di contrada Zangara,  a Castelvetrano.  Un'operazione, secondo l'accusa, destinata a riciclare 300 milioni di euro. In più i pm fanno leva anche sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, anche se questi riportano un "sentito dire", delle affermazioni generiche, ma non episodi circostanziati  provati. i.  Secondo il pentito Nino Giuffrè il suo nome sarebbe stato tirato in ballo come "faccia pulita" da canddiare quando Cosa Nostra pensava di costituire un proprio movimento politico, Sicilia Libera. Progetto accantonato dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia.D'Alì, dal canto suo, ha sempre negato ogni circostanza.  E'  accusato di avere contribuito consapevolmente al rafforzamento della presenza di Cosa Nostra nel territorio mettendo a disposizione sia proprie risorse economiche sia il suo ruolo politico, anche quando sedeva sulla poltrona di sottosegretario al Ministero degli Interni Il processo proseguirà il 24 maggio con l'intervento del pm Andrea Tarondo e delle parti civili. Sono fissati per il 14 e 21 giugno gli interventi dei difensori, gli avvocati Bosco e Pellegrino. La sentenza è prevista per fine giugno. D'Alì ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. 

Un’accusa imbarazzata”. Commentano così gli avvocati Stefano Pellegrino e Gino Bosco, in merito alle dichiarazioni del pubblico ministero Paolo Guido. “Gli stesso requirenti – hanno sottolineato in una nota gli avvocati Pellegrino e Bosco - in linea con le motivazioni delle due precedenti richieste di archiviazione del procedimento a carico del Sen. D’Alì, hanno dovuto coerentemente e correttamente ammettere, nel corso della requisitoria  che nessuna condotta concreta, effettiva e fattuale agevolatrice dell’associazione mafiosa è stata accertata e, comunque, indicata e specificata dagli innumerevoli collaboranti ascoltati anche in altri processi sul conto del predetto Sen. D’Alì. Si consideri che le attività investigative e di indagine a carico del Sen. D’Alì sono incessantemente continuate dal lontano 1997 ad oggi, senza che sia emerso, al di là delle illazioni e delle temerarie, proditorie e infondate insinuazioni di taluni collaboranti, alcun fatto specifico, come del resto affermato dai requirenti, che possa essere ricondotto ad una ipotesi di concorso nell’associazione mafiosa”. Nel comunicato viene sottolineata “assoluta obiettabilità” in merito a “due passaggi fondamentali della requisitoria”. In particolare i legali evidenziano come “in relazione alla pretesa e immaginosa candidatura del D’Alì alle elezioni del 1994 nel partito Sicilia Libera, va ribadito che l’unica sollecitazione a candidarsi risulta provenire dal movimento Forza Italia, essendo sconosciuto al predetto Sen. D’Alì, all’epoca, l’esistenza di un movimento che tendesse alla costituzione di un partito denominato Sicilia Libera. Quanto alla asserita cessione fittizia dei terreni di contrada Zangara in Castelvetrano - continuano i difensori Pellegrino e Bosco - è stato dimostrato documentalmente e testimonialmente che il trasferimento risulta essere stato vero e reale. Il Sen. d’Alì – concludono i legali - non ha semplicemente respinto l’accusa di essere un concorrente esterno di “cosa nostra”, ma ha processualmente e positivamente provato la totale estraneità ai fatti contestatigli”.