E' un processo scaturito dall'operazione condotta dalla Dia di Roma e dalla Squadra mobile di Caserta che il 10 maggio 2010 consentì, con 68 provvedimenti restrittivi, lo smantellamento di un asse criminale camorra-mafia che, secondo l'accusa, imponeva il monopolio dei trasporti su gomma ai commercianti che operano nel settore dei prodotti ortofrutticoli, con la conseguente lievitazione dei prezzi. Per oggi è prevista la requisitoria del procuratore generale, che dovrebbe chiedere la conferma delle condanne inflitte in primo grado. A difendere i fratelli Sfraga - ai quali, lo scorso luglio, lo Stato ha confiscato beni per un valore di sette milioni di euro - è l'avvocato Diego Tranchida.
Per gli inquirenti, gli Sfraga, grossisti dell'ortofrutta nel versante sud marsalese (zona Strasatti-Petrosino), sarebbero stati, nel settore, il trait d'union tra la camorra e Cosa Nostra. Il 27 gennaio 2012, i due commercianti marsalesi furono condannati a tre anni di carcere ciascuno dal gup napoletano Antonio Cairo. I due fratelli sarebbero stati imprenditori di riferimento, in Sicilia occidentale, dei capimafia Riina e Provenzano, garantendo il monopolio del trasporto verso Fondi (Lt) e altri mercati meridionali a ditte del clan casertano. Sviluppi dell'indagine condussero, il 15 novembre 2011, a nuovi ordini di arresto sia per gli Sfraga che per un loro dipendente, il 45enne Carmelo Gagliano. Con loro, alla sbarra, davanti la V sezione della Corte d'appello di Napoli, ci sono anche Costantino Pagano, Luigi Terracciano, Domenico Menna, Salvatore Frontoso, Carlo Del Vecchio, gestori della «Paganese Trasporti snc», referenti del clan camorrista dei Casalesi per il trasporto su gomma del settore ortofrutticolo, i catanesi Giuseppe e Vincenzo Ercolano, Nunzio Di Bella, Nunzio Scibilia, Orazio Fichera, elementi di riferimento del clan mafioso «Ercolano-Santapaola», nonché Giuseppe Antonio Domicoli e Biagio Cocchiaro, referenti del «clan Madonia», famiglia Rinzivillo, di Gela. L'organizzazione avrebbe «condizionato il libero mercato con atti di violenza, minaccia e intimidazione tipici delle organizzazioni di stampo mafioso».
Tra mafia e clan camorristico dei Casalesi sarebbe stato siglato, insomma, un patto per la spartizione degli affari sui mercati nazionali.
TOSCANI. E' stato un fiume in piena Oliviero Toscani nella sua deposizione davanti al Tribunale di Trapani - Sezione delle misure di prevenzione, in merito alla richiesta di sequestro di beni per 35 milioni di euro nei confronti di Pino Giammarinaro, ex deputato della Dc di Salemi ed ex sorvegliato speciale di mafia. Giammarinaro è accusato di aver condizionato l'attività del Comune di Salemi ai tempi della sindacatura di Vittorio Sgarbi - Toscani era assessore - tanto da aver portato poi il Comune allo scioglimento per mafia. "Una sera - racconta Toscani - al ristorante, con Vittorio Sgarbi, ho fatto un patto. Ci saremmo attivati per affrancare Salemi da Pino Giammarinaro. Lo abbiamo scritto in un tovagliolo. Ma il sindaco non ha mantenuto l'impegno e io ho deciso di andarmene, mi sentivo un nemico del Comune". Il noto fotografo ai giudici ha parlato della presenza «ingombrante» dell'ex deputato Pino Giammarinaro e delle sue interferenze nella gestione amministrativa del Comune di Salemi.
Ha riferito che Pino Giammarinaro era presente a tutte le riunioni di Giunta nonostante non avesse alcun titolo per prendervi parte. Una presenza mal sopportata dal fotografo che in un'occasione ebbe ad affrontare l'ex deputato definendolo "Giamburattinaio". Giammarinaro avrebbe avuto una crisi di pianto. Toscani non ha saputo dire se vera o finta. Sgarbi mediò tentando di consolare l'ex deputato. Giammarinaro, ha spiegato Toscani, controllava tutto. Aveva suoi uomini nella Giunta ed in Consiglio.
Normale attività politica, ha più volte spiegato l'ex deputato. Sulla stessa linea anche l'ex sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi. Secondo il critico d'arte, Giammarinaro non avrebbe mai partecipato alle riunioni di Giunta. Toscani non ricorda bene o confonde situazioni e persone. Il fotografo ha parlato di un sistema malato. «Sgarbi aveva fatto un buon lavoro a Milano e per questa ragione sia io che altri decidemmo di seguirlo. Pensavamo che qui si potesse continuare ed invece per me l'esperienza di Salemi, iniziata con grande impegno, che pensavo potesse essere foriera di positivi risultati, s'è trasformata presto in un magnifico fallimento».