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Ormai si combatte la mafia dove non c’è, con ordinanze che tolgono l’Imu a chi denuncia estorsioni che non esistono e tentativi di costituzione di associazioni antiracket, come se il problema fosse il pizzo. Ma le decine di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, arrestati negli ultimi anni, di tutto si occupavano fuorché di vessare i commercianti con le richieste di pizzo.
Forse bisognerebbe onestamente ammettere che si ha ancora paura.
Si ha paura perfino di nominarla la mafia, al punto che la preside della scuola che ha organizzato il corteo del 24 maggio parla di “lotta all’illegalità” e di “forze di opposizione alla criminalità organizzata”.
Manca soltanto che si sostituisca il termine “mafioso” con quello di “illegale” e si parli di “concorso esterno in associazione illegale”.
Si dirà che la legalità è il termine usato in tutta Italia nelle manifestazioni antimafia (pardon, anti-illegalità) e forse si avrà anche ragione. In effetti a ben pensarci, è un termine inclusivo che, oltre alla lotta alla mafia, comprende tante altre piccole cose: il rispetto delle coste, dell’ambiente, delle regole della strada, di quelle del lavoro, l’attenzione al merito e alle capacità nel ricoprire posti pubblici, il rispetto della legge nell’ottenimento delle invalidità o l’osservanza dei criteri per l’assegnazione delle case popolari… Una legalità quindi ancora più difficile da attuare, soprattutto dagli amministratori che stanno sopra il palco a pontificare che è bene che ognuno faccia il proprio dovere.
Ma è difficile dichiararsi apertamente contro la mafia locale, quella di Matteo Messina Denaro e dei suoi fiancheggiatori. Sul palco del 24 maggio c’è anche il preside Fiordaliso, che però non viene invitato al microfono. Chissà, forse perché è uno dei pochi a dire con coraggio sempre quello che pensa, senza tanti giri di parole.
Anche I Love Legalità, l’associazione di studenti, sembra ormai avere soltanto una funzione animatrice, sempre meno decisionale e poco coinvolta nella vera partecipazione all’associazionismo antimafia. Per esempio all’assemblea di Libera sul tema della promozione della legalità e dell’antimafia sociale, una decina di giorni prima del corteo del 24 maggio, dei 30 ragazzi di “I Love Legalità” ce n’era uno solo (uno!) . Era il suo presidente Vincenzo Italia e ha dato l’impressione di non esserci rimasto proprio bene.
Qualche settimana fa gli avevano tagliato 600 alberelli dimelograno. Ma chi si aspettava un manifesto di solidarietà o due parole sul palco da parte dei ragazzi, è rimasto deluso. Eppure, a prescindere dalla matrice dell’intimidazione, si è trattato pur sempre di un gesto mafioso. Anzi, meglio precisare, di un gesto illegale.
I politici locali, dal canto loro, si sono ben guardati dal fare riferimento agli ultimi arresti. Perché parlare del sindaco Caravà della vicinissima Campobello di Mazara, finito in carcere per mafia dopo essersi occupato delle fiaccolate in favore delle vittime? O di Santo Sacco, consigliere provinciale arrestato nell’operazione “Mandamento”?
Il perché è semplice: non si è colpevoli fino al terzo grado di giudizio. Le sentenze però le esprimono i magistrati, l’antimafia giudiziaria. La società civile e la politica dovrebbero invece rappresentare l’antimafia sociale e le valutazioni di opportunità.
Invece sembra che l’unica antimafia possibile, in grado di attecchire, sia quella contro l’etichetta: “non siamo tutti mafiosi, ci sono 32 mila abitanti che la mattina vanno a lavorare onestamente…”.
E chi parla di mafia? È naturale: vuole solo denigrare il nostro territorio.
Egidio Morici
www.500firme.it
e.morici@alice.it