Sono proprio gli avvocati della difesa i protagonisti di questa ultima fase del processo (la sentenza potrebbe arrivare anche prima della fine dell'estate), e stanno cercando, punto per punto, di rispondere alle accuse della Procura, chiedendo, per il loro assistito, l'assoluzione con formula piena: "Il fatto non sussiste". Nel corso del suo intervento l'avvocato Bosco ha parlato, nell'ultima udienza di "debole quadro probatorio dell'accusa". "La documentazione da noi presentata - ha detto Bosco - comprova l’esclusione di qualsivoglia addebito di reato nei confronti del nostro assistito , il Sen. Antonio D’Alì, a conferma che giammai ha tenuto alcuna condotta di qualsivoglia agevolazione di Cosa nostra". Gli episodi sono noti. Uno riguarda la costruzione della caserma dei carabinieri di San Vito Lo Capo. Birrittella, imprenditore arrestato per mafia, che poi ha deciso di collaborare, è stato intercettato, spiega all'imprenditore Morici di aver ottenuto grazie a D'Alì il contratto di affitto del suo immobile a San Vito Lo Capo per una caserma dei carabinieri e per realizzare altre caserme fra cui la Stazione di Paceco e del Comando Provinciale di Trapani. “D'Alì mi chiese anche di organizzare un bel rinfresco e predisporre in omaggio le insegne della caserma - ha poi detto Birrittella -. La cerimonia di inaugurazione si svolse in sua presenza, di un generale dei Carabinieri, del sindaco e altre autorità”. Tutto con approvazione del boss Pace, che voleva realizzare il comando provinciale dei Carabinieri: “D’Alì mi aveva suggerito, visto anche l’importo elevato del progetto, di utilizzare il sistema del project financing per un duplice motivo: perché la politica del governo era quella di non fare investimentiditipopatrimonialepreferendoilsistemadella locazione, così avremmo evitato la gara d’appalto. Ogni volta D’Alì mi chiedeva di spegnere il cellulare e di lasciare l’apparecchio telefonico in una stanza diversa da quella in cui avevamo il colloquio”. Per la difesa di D'Alì invece la caserma fu scelta sulla base delle certificazioni antimafia rilasciate a Birrittella proprio dalla Prefettura, retta in quel tempo dal Prefetto Sodano, oggi uno dei suoi principali accusatori. Sodano, infatti, accusa D'Alì - e questo è un altro fronte del processo - di aver voluto il suo allontamento da Trapani perchè il prefetto aveva impedito che la consorteria mafiosa si riappropriasse della Calcestruzzi Ericina, che era stata confiscata. Per i legali, invece, D'Alì non fece nessuna pressione e nessun boicottaggio, tanto che la Calcestruzzi Ericina, nel 2005, risultò tra le principali ditte fornitrici di calcestruzzo per i lavori al porto in occasione dell'America's Cup. Anche il trasferimento del prefetto Sodano - dicono i legali di D'Alì - è stato un atto regolare. Ai tempi l'imputato era sottosegretario agli Interni del Governo Berlusconi. Da parte sua D'Alì rivendica un'ulteriore accelerazione nella confisca dei beni ai mafiosi, con la collaborazione del successore di Sodano, Finazzo. I legali di D'Alì sostengono inoltre che il loro assistito è stato totalmente estraneo - comunque - all'aggiudicazione dei lavori dell'America's Cup. Altri punti caldi del processo: la finta compravendita di un terreno in Contrada Zangara a Castelvetrano con la famiglia Messina Denaro (forse il punto su cui la difesa si trova più scoperta), le interferenze sulla nomina della commissione aggiudicatrice per i lavori della Funivia (per D'Alì la commissione fu nominata invece dalla Provincia "ai tempi in cui erano note le tensioni tra me e l'allora Presidente Giulia Adamo").
I Pm hanno chiesto per d'Ali' la condanna a 7 anni e 4 mesi di reclusione. Parti civili sono Associazione Antiracket di Marsala, Libera, Associazione Antiracket di Mazara "Io non pagò il pizzo e tu ?" ed il Centro Pio La Torre. .