Secondo l’accusa nelle elezioni regionali del 2008, Antinoro avrebbe comprato alcuni voti da esponenti mafiosi.
La corte, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha riconosciuto l’aggravante e ha disposto l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici. Antinoro, difeso dall’avvocato Massimo Motisi, ha continuato ad escludere di avere avuto consapevolezza della caratura dei personaggi ai quali si era rivolto, secondo la sua versione, solo per alcuni servizi connessi alla sua partecipazione come candidato alle elezioni regionali del 2008. La corte ha invece accolto la tesi del Pg che aveva chiesto la condanna a otto anni.
Secondo l’accusa, Antinoro avrebbe pagato cinquanta euro a voto a esponenti mafiosi. In totale tremila euro per sessanta voti nelle regionali del 2008 nel quartiere di Resuttana. Poi Antinoro fu eletto con trentamila voti. Per il Tribunale, il deputato aveva sì versato delle mazzette ma senza stringere alcun patto con Cosa nostra, mentre per la corte Antonoro sapeva di affidarsi a mafiosi.
A carico di Antinoro c’erano le accuse di due pentiti come Andrea Bonaccorso e Manuel Pasta. Il primo, in particolare, aveva affermato che a Palermo “ogni zona ha il suo candidato” e Antinoro sarebbe stato sostenuto dalla ‘famiglia’ di Palermo Centro. Manuel Pasta, proprio di Resuttana, aveva invece ribadito di “non conoscere direttamente Antinoro” ma di sapere che la moglie di Salvatore Genova, reggente della famiglia, aveva ricevuto soldi dal politico.
Un altro collaboratore, Michele Visita, ha detto di aver partecipato a quegli incontri elettorali in cui si sarebbe stretto il patto e consegnata la mazzetta. Per Antinoro, il pagamento era un compenso per servizi di attacchinaggio in campagna elettorale. Il Tribunale nella motivazione della sentenza di primo grado aveva scritto: “Il dubbio di un possibile legame col boss Salvo Genova getta una pesante ombra sulla personalità di Antinoro, screditandone l’immagine pubblica con un sospetto di disponibilità verso certi ambienti mafiosi, che va ben oltre il disvalore della condotta di corruzione elettorale accertata”.