Il ministero della difesa di Bogotà, ha definito il 67enne Pannunzi come «il Pablo Escobar dell'Italia».
Nel momento in cui è stato catturato in un centro commerciale di Bogotà, il boss era in possesso di una carta d'identità venezuelana falsa a nome Silvano Martino. Interlocutore privilegiato dei produttori di cocaina colombiani, con contatti anche con la mafia siciliana e con personaggi di spicco di alcune famiglie riconducibili al boss Provenzano, Pannunzi era in grado di esportare fino a due tonnellate al mese di cocaina dalla Colombia all'Europa.
Per organizzare un colossale traffico di cocaina dalla Colombia all'Europa decise anche di acquistare con denaro contante una nave che batteva bandiera greca. La nave affondò con tutto il carico di droga mentre stava raggiungendo le coste trapanesi. Con la mafia siciliana ha operato con le cosche di Gaetano Badalamenti e di Gerlando Alberti, di Mariano Agate e Bernardo Provenzano. Sarebbe stato proprio lui, secondo la polizia, a mettere in contatto la cosca di Alberti con i narcotrafficanti marsigliesi, convincendo un chimico, Renè Bousquet, a trasferirsi a Palermo, e ad impiantare la prima raffineria di eroina in una villetta nei pressi dell'aereoporto di Punta Raisi.
La cattura è il frutto di due anni di indagini del Gico della Guardia di Finanza e del Ros dei carabinieri. Il boss deve scontare ora un cumulo di pena pari a 12 anni, 5 mesi e 26 giorni.
Originario di Siderno, Pannunzi ha vissuto per anni in Colombia, spostandosi da una città all'altra, dove operano i principali cartelli della droga del paese. Arrestato diverse volte, riuscì sempre ad evadere. Nel 1999 e 2010 lo fece mentre si trovava agli arresti domiciliari per problemi di salute. Nel momento dell'arresto, Pannunzi ha detto di "stare male".
Pannunzi ha un rapporto strettissimo con il boss di Salemi Salvatore Miceli (arrestato nel 2009). I due, infatti, sono stati gli intermediari tra i clan di Cosa nostra e della 'ndrangheta ed i cartelli colombiani della cocaina. Avevano messo su una rete di trafficanti di cocaina con Mariano Agate, il boss mafioso di Mazara del Vallo e dei clan calabresi dei Marando, dei Trimboli e dei Barbaro di Platì. L'anello fu smantellato nel maggio 2003. Per capire quanto sia stretto il legame tra i due, Miceli è padrino di battesimo del figlio di Pannunzi. Quando Miceli fu preso in ostaggio dai narcos colombiani per via di alcuni pagamenti mancanti, fu Pannunzi ad attivarsi, tramite le 'ndrine, per garantire la liquidità necessaria per rilasciare l'ostaggio.
I Pannunzi erano "gli amici romani" del clan di Messina Denaro, come si evince da un'intercettazione, fatta a Marsala, di Miceli con Salvatore Drago Ferrante - uomo d’onore del trapanese, in buoni rapporti con il cognato di Matteo Messina Denaro Filippo Guttadauro (fratello di Giuseppe di Brancaccio) - nel corso di un colloquio intercettato il 21 dicembre del 2000.
“…è venuto a controllarla… no… dato che era una partita grossa… di 1300… e quindi c’era quello… 150 chili che giustamente… per correttezza… questi amici miei hanno chiamato e gli hanno raccontato il fatto… quello può pensare che questi dicono minchiate… che gli vogliono fottere 150 chili di coca… non era questo perché non c’è questo rapporto… allora quello gli ha detto che manda… e quello è venuto… è venuto… è venuto a vederla”.
La conversazione avviene all’interno di una delle abitazioni Miceli situata presso un edificio rurale del marsalese denominato convenzionalmente “Casa Saporito”.
Una zona difficilmente raggiungibile, annotano gli investigatori, dove la famiglia Miceli, contemporaneamente alla pianificazione di grossi traffici di cocaina con il Sud America, svolgeva attività di spaccio per avere sempre disponibile “una certa liquidità”.