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11/07/2013 09:05:05

Strage Cottarelli, chiesto il rinvio a giudizio per altri due. "Favorirono la latitanza dei cugini Marino"

 Il 28 agosto del 2006 venne sterminata una intera famiglia: Angelo Cottarelli, la moglie Marzenna Topor e il figlio Luca Cottarelli.

Pogliese e Augugliaro sono accusati di avere più volte coperto la latitanza dei Marino. In particolare, Pugliese avrebbe accompagnato i cugini latitanti con la sua auto fino in Spagna. 

Vito e Salvatore Marino, prima della condanna all'ergastolo, vennero assolti dalla Corte d’assise di Brescia. La Corte di Cassazione annullò la sentenza di secondo grado rinviando il processo a Milano. Il sostituto procuratore generale Lucilla Tontodonati ha chiesto l’ergastolo pur con una valutazione diversa da quella fornita dall’avvocato di parte civile Stefano Forzoni in rappresentanza delle vittime. Dopo una lunga camera di consiglio i giudici hanno condannato gli imputati all’ergastolo e a risarcire i danni alle parti civili.

I cugini sono imparentati con un boss del trapanese. Vito è il figlio e Salvatore il nipote, di Girolamo Marino, "Mommo U Nano", esponente della mafia perdente, ucciso a metà degli anni ottanta su mandato dei corleonesi.  Ecco perché la Direzione distrettuale antimafia di Brescia, aggiunse al capo d’imputazione per i due siciliani “l’aggravante d’aver commesso i fatti al fine di agevolare l’attività dell’organizzazione mafiosa denominata ‘Cosa Nostra’ “.

Gli imputati, in primo grado, vennero assolti dalla Corte d’Assise di Brescia. Ma la Procura non si diede per vinta e nel presentare appello rimarcò che per i Marino “il responsabile del crollo di un progetto, di un sogno vissuto anche come un momento di riaffermazione personale, familiare e sociale dopo il brutale assassinio nel 1985 di Girolamo, aveva un solo nome. Angelo Cottarelli”.

Aveva 56 anni l’imprenditore bresciano quando fu ucciso. Il delitto si consumò nella taverna della villa di famiglia, a Urago Mella, un quartiere residenziale di Brescia. Prima dell’uomo furono giustiziati la moglie, Marzenne Topar di 41 anni e origini polacche, e il figlio Luca. A entrambi fu sparato in testa e poi recisa la gola con un fendente. L’imprenditore fu lasciato agonizzante: si spense poco dopo durante il viaggio in ambulanza.

Angelo Cottarelli aveva messo in piedi una “cartiera” a vantaggio dei Marino. Aveva conosciuto i trapanesi in un night club di Gussago, alla periferia di Brescia. L’imprenditore di Urago Mella, attraverso una sua società, la Dolma srl, faceva risultare spese inesistenti effettuate dalle aziende dei siciliani, così che le stesse potessero avvantaggiarsi dei rimborsi che metteva loro a disposizione la legge 488 del 1992: fondi europei erogati per attività imprenditoriali in zone depresse.

E qui, secondo il pm bresciano che coordinò le indagini, Paolo Savio, sta il movente dell’omicidio. Cottarelli si tenne per sé una parte di quegli introiti accumulati illegalmente e i Marino, già in sofferenza economica, nel tentativo di recuperare qualcosa, persero la testa e commisero la strage. 

Gli avvocati Giovanni Palermo e Giuseppe Pesce, difensori degli imputati, hanno preannunciato un ulteriore ricorso. Per i due legali, che avevano chiesto al termine delle loro arringhe di assolvere i cugini Vito e Salvatore Marino, non vi è alcuna prova del coinvolgimento dei due imputati nel delitto. Semmai ci sono, invece, elementi che provano la presenza all'interno della villetta di altri soggetti. Pesce e Palermo hanno rilevato, nel corso dei loro interventi, che su un bicchiere trovato vicino a una delle vittime c'erano impronte non appartenenti né agli imputati né al super testimone  Grusovin né ad Angelo Cottarelli e ai suoi familiari. Se ne riparlerà nel nuovo processo in Cassazione.