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02/08/2013 06:55:00

La mafia? E' sempre stata Cosa di Stato

Nel '92-'93 non c'è stata "la"  trattativa, ma "una" delle tante nell'antico rapporto tra le istituzioni italiane e la mafia siciliana. Non è un reato, ma quanto si deve aspettare ancora per la condanna della storia?

Nella composizione il magistrato Paolo Borsellino e una sua frase sul rapporto Stato-mafia Nella composizione il magistrato Paolo Borsellino e una sua frase sul rapporto Stato-mafia

La “trattativa” è un buco nero, che ci inghiotte tutti. Cosa è successo in Italia nel ‘92 - ‘93? Davvero Stato e Cosa nostra si sono seduti intorno ad un tavolo per trattare? Lo stop alle bombe, in cambio del rilascio di alcuni detenuti mafiosi ristretti al carcere duro. E’ questa l’ipotesi. E ancora, un momento prima: Paolo Borsellino ucciso perchè sapeva della trattativa, Ciancimino e i giri in motorino per Palermo per indicare il covo di Riina, Bernardo Provenzano alias l’ingegnere Lo Verde, i servizi segreti, i tanti non ricordo.

Un buco nero, appunto. Una vertigine.  C’è anche un processo in corso a Palermo, che mette insieme per la prima volta uomini di Stato e uomini d’onore, con l’accusa di “attacco al corpo politico dello Stato”.

La trattativa, che ossessione. Quando tra colleghi giornalisti ci incontriamo, una delle prime domande che ci facciamo è: stai scrivendo qualcosa di bello, per ora? La domanda è fatta un po’ per sincera ed amicale curiosità  un po’ per capire se il tuo interlocutore ti sta rubando l’idea del prossimo libro. Ad ogni modo, da un paio di anni a questa parte, una volte su due ottengo questa risposta: si, sai, sto scrivendo un libro sulla trattativa. Qualcuno aggiunge: non come gli altri, con materiali inediti. E già, perché di libri sulla trattativa sono pieni gli scaffali delle librerie dedicati alla mafia, tanto da rappresentare ormai una specie di spin - off, un sottogenere che sembra avere più successo della casa madre.

La conversazione, inoltre, prevede anche un secondo passaggio, per me molto periglioso. Navigo a vista. Il passaggio che mi mette in ambasce è quando il mio interlocutore mi fa: ma tu cosa ne pensi? E io, sperando che l’argomento non sia quello, faccio la bocca a culo di gallina. Attendo. Allora l’altro mi incalza e fa: dico, della trattativa, cosa ne pensi. Eccolo, il trappolone: chiedermi cosa penso della trattativa.

Qui devo fare una parentesi. Perchè purtroppo è una cosa che mi capita spesso, su facebook, in radio, con gli amici o anche per strada. Le persone mi parlano di un argomento, mi annunciano un titolo, ad esempio: sale lo spread!, e poi mi chiedono: e tu cosa ne pensi?

Il mio problema è che non sono un pensatoio ambulante. Penso anche poco, credo, rispetto alla media. E non ho un’opinione certa su molte cose della mia vita. Altrimenti non avrei fatto il giornalista. Quindi, quando mi chiedono: ma tu cosa pensi della trattativa? Io dovrei rispondere: non lo so.

Il fatto è che mi imbarazzo. Perchè - e questo è uno degli effetti devastanti del buco nero chiamato “trattativa” - a seconda dell’interlocutore rischio una dura reprimenda.

L’argomento “trattativa” suscita in aula posizioni fortissime, passioni feroci. Quasi ogni ogni giorno non manca la polemica nelle pagine sui giornali, sia sulla trattativa in se, sia su suoi corollari: è giusto intercettare il presidente della Repubblica Napolitano, ma davvero qualcuno vuole fare del male ai pm che indagano su quegli eventi ?

Io sono stato allievo del professore Giovanni Fiandaca, mi sono laureato con lui in diritto penale a Palermo con una tesi sui profili penali del rapporto mafia - politica. Fiandaca è il maggior penalista italiano, e persona mitissima. Eppure è stato bersagliato da Travaglio nel momento in cui ha messo in discusione l’ipotesi accusatoria del processo sulla trattativa.

Ora, per dirla come la penso e farla breve, io credo che la trattativa, riferendoci al ‘92 - ‘93 è esistita, ma non è stata “la” trattativa, e stata “una” trattativa nell’antico rapporto Stato - mafia, e, soprattutto, non è reato. Perchè il reato di trattativa non esiste, perchè è una vergogna che un rappresentante del potere politico tratti con un’organizzazione criminale, ma attiene alla discrezionalità e all’etica, non al codice penale.

So già che dopo questa mia affermazione tutti i lettori di Travaglio, i sostenitori di Ingroia, mi guarderanno di traverso, però è l’ora, secondo me, che su certi argomenti cominciamo a ragionare fuori dagli schemi di angeli del bene contro esercito male, e ad essere più lucidi.  Dicendo, ad esempio, che la verità giudiziaria non può essere mai verità storica.

La trattativa Stato - mafia è sempre esistita. Perchè la mafia è tale solo  se riesce ad interloquire con un corpo politico, altrimenti è mera associazione criminale. Stato e mafia dunque hanno sempre parlato. Di più: la trattativa appartiene alla storia di questo Paese, ne ha condizionato i suoi passaggi fondamentali, non solo quelli nel ‘92 - 93

C’è una serie di trattative in Italia. Tanto che potremmo descriverla come una famiglia. Di più, come la grande famiglia italiana. C’è quella canzone di Gaber - Jannacci,  La strana famiglia”, che comincia con questi versi:

Vi presento la mia famiglia

non si trucca, non si imbroglia

è la disgraziata d'Italia,

anche se soffriamo molto

noi facciamo un buon ascolto

siamo quelli con l'audience più alto.

Ora, se la signora Trattativa ‘92 - ‘93 si dovesse presentare farebbe un discorso così: Noi siamo la famiglia trattativa. Mia nonna aiutò gli inglesi  a fare sbarcare Garibaldi a Marsala. Il nonno fu alleato dei fascisti.  Una vecchia zia fu l’amante di Salvatore Giuliano, quello di Portella della Ginestra. Papà prima ha aiutato gli americani in Sicilia, poi è stato un democristiano di ferro. Mamma ha fatto la signora delle pulizie nei salotti della Palermo bene. Io sono stata quella capricciosa, in famiglia, imprevedebile.

Nessuna Trattativa muore orfana. Tutte lasciamo molti figli.

Dietro questa mia boutade si nasconde però una verità che ci dobbiamo dire: la mafia è stata una risorsa decisiva per lo Stato italiano, da sempre. Ha dato appoggio a chi doveva controllare il Paese, ne ha garantito i disegni a volte eversivi in cambio di una sostanziale impunità. Si può dimostrare tutto questo in un processo? No.

Fare luce su quanto accaduto negli anni che hanno preceduto la Seconda Repubblica, non solo è giusto, è un gesto di civiltà. Ma dobbiamo sapere che tutto si inserisce in un contesto più ampio. E più complesso. Ci sono verità troppo profonde e troppo scomode che ci vengono nascoste, e che neanche gli stessi padrini di Cosa nostra sanno.

E, soprattutto, la trattativa non è una, sono tante. Continuano ancora oggi. Quella che io chiamo Cosa Grigia, la nuova mafia, cresce e prospera perchè c’è un patto criminale con la classe dirigente del Paese che è questo: tu, mafia, fai prendere a me, Stato, i vecchi caproni di Cosa nostra, e io do il via libera a tutto il resto, alle nuove architetture della mafia moderna. E’ l’unica giustificazione possibile al fatto che non esista ancora una legge seria sulla corruzione come sul voto di scambio, in Italia.

Anche l’irresistibile ascesa delle mafie al Nord è frutto di una trattativa. Perchè se mandiamo i migliori esperti di riciclaggio tutti a Palermo, e lasciamo scoperti Bergamo, Cuneo, Aosta, stiamo dicendo alle mafie: accomodatevi. Voi mi date l’illusione di aver riconquistato la Sicilia - come ai tempi del prefetto Mori, il gioco di prestigio è sempre lo stesso - e io vi do terra libera in quel nord che negli anni è comunque diventato una potenza industriale grazie anche alla vostra complicità.

La verità su quegli anni si saprà solo nel momento in cui ci sarà un fatto inedito nella storia d’Italia: il primo pentito di Stato. Finora abbiamo avuto solo pentiti di mafia, raccontano quello che sanno, anzi, che quello che hanno capito - che è ancora peggio. Troppi burocrati, politici di alto rango, funzionari prestigiosi nascondono verità che non vogliono rivelare. Qui ci vuole un ex presidente della Repubblica che vuoti il sacco, ad esempio. Ma non succederà mai. E’ un muro, quello, impenetrabile.

E’ questa la battaglia che dobbiamo fare. E non si fa in un processo, inventandosi il reato di “attentato politico al corpo dello Stato”. Allora dovremmo processare tutti i capi di governo degli ultimi 150 anni, che hanno “trattato” in vario modo con le mafie.

La si fa chiedendo trasparenza, verità, accesso ad atti e carte secretati. Stando vigili davanti al mondo che ci assedia.

Si tratta, in altre parole, di scrivere noi, il nostro tempo. Noi, dico giornalisti, scrittori, certo, ma anche noi giovani, cittadini, persone che camminano a testa alta. Perchè se non scriviamo noi il nostro tempo, ed è questa l’amara lezione di tutta la vicenda sulla trattativa, sarà il tempo stesso a scrivere per noi.