Non ha “mafiato”, almeno dal 1994. Prima, è tutto prescritto. Come nelle previsioni, il senatore del Pdl Antonio D’Alì è stato assolto. Sentenza annunciata, sotto certi aspetti, quella del Gup di Palermo: perchè a molti era chiaro che la Procura aveva tanti indizi, ma nessuna prova. Il nome di D’Al’ correva sulla bocca di tutti, mafiosi e non, ma da parte del senatore, carte alla mano, non c’è stato mai un aiuto concreto a Cosa nostra. Nè è servito il colpo di teatro del memoriale di Don Ninni Treppiedi. L’ex amico spirituale della famiglia D’Alì ha detto molte cose interessanti, certo, ma nessuna prova.
Così, D’Alì è stato assolto. L’interessato - gli va riconosciuto - ha usato i toni discreti che gli sono propri. Nessun anatema contro i giudici, nessun vittimismo.
Sulla prescrizione e sulle similitudini che si è portati a fare con il caso di Giulio Andreotti (anche lui assolto per i fatti successivi ad un determinato anno, il 1992, ma con il reato passato in prescrizione per quanto accaduto prima) proprio D’Alì puntualizza: Per me non c`e` nessuna ombra. La prescrizione, come si sa, precede la valutazione nel merito". "E` necessaria una riforma della giustizia - ha detto ai giornalisti - ma questo lo dicono tutti non solo la mia parte politica. E` indispensabile per i cittadini". "La prima telefonata che ho ricevuto è stata di Berlusconi che si è complimentato con me: `Hai visto che abbiamo fatto bene a candidarti`"?. a. "Questa sentenza - ha aggiunto - e` una conferma della mia correttezza e della correttezza della mia politica di questi anni. Sono una persona perbene, anche se c`è stato bisogno di una sentenza per ribadirlo. Ora nessuno deve accostare il mio nome alla mafia".
Tanti gli attestati di stima giunti a D’Alì, che in molti davano per spacciato a seguito di questo processo. Quasi fosse un matrimonio arrivano le “congratulazioni” del coordinatore dei giovani del Pdl, Dulio Pecorella. “Pienamente felici” si dichiarano alcuni militanti del Pdl storicamente vicini a D’Alì, da Pietro Russo di Castellammare del Golfo all’egadina Cettina Spataro e al marsalese Enzo Domingo.
Riccardo Arena, su Panorama dà una singolare lettura dell’accaduto:
Tutte le volte che a Palermo ci si mette di mezzo un Gip, il risultato è assicurato: l’imputato eccellente che risponde di mafia o di reati similari viene assolto. Era già successo con Mario Mori(due processi imposti dal giudice, uno col Capitano Ultimo, l’altro col colonnello Mauro Obinu, due assoluzioni), si è ripetuto con Saverio Romano (imputazione coatta: assolto) e ora è nuovamente avvenuto con Antonio D’Alì. La Procura di Palermo ha già le sue difficoltà, a vincere i processi: quando non li vuol fare, poi, e viene costretta, riesce a perdere in ogni caso.
Anche il senatore del Pdl D’Alì era accusato di concorso in associazione mafiosa: i pm avevano chiesto l’archiviazione, ma il Gip Antonella Consiglio aveva imposto nuove indagini. Era stato così che la Procura aveva cambiato idea, chiedendo il rinvio a giudizio e, nel processo celebrato col rito abbreviato, la condanna a 7 anni e 4 mesi. Il risultato è stata un’assoluzione, l’ennesima in processi contro “colletti bianchi” e uomini politici, se si fa eccezione per Marcello Dell’Utri (nei cui confronti la sentenza non è però ancora definitiva) e per Totò Cuffaro, processato per un reato di favoreggiamento aggravato che aveva fatto storcere il naso agli ortodossi dell’antimafia ufficiale. Reato per il quale Cuffaro è in cella da ormai due anni e mezzo, a scontare la pena (sette anni). Mentre dal concorso esterno, fortemente voluto dai pm ortodossi e avallato dal procuratore Francesco Messineo, ha ottenuto un non luogo a procedere confermato anche in Cassazione.
A D’Alì, scagionato dal Gup Giovanni Francolini, è stata riconosciuta in parte la prescrizione – per i fatti avvenuti fino al 10 gennaio 1994 – e per il resto è stato assolto nel merito, da accuse mediaticamente efficaci, cavallo di battaglia di tante trasmissioni televisive più o meno schierate, ma che si sono rivelate inconsistenti sul piano giudiziario. A nulla è valsa la testimonianza in extremis di monsignor Antonino Treppiedi, un sacerdote sospeso da Papa Francesco perché indagato per truffa (vendeva terreni della Curia di Trapani con firme e timbri falsi, si appropriava di denaro della Diocesi utilizzando dei prestanome, fra cui familiari e suore), pronto a ribadire una serie di accuse già presenti nel processo. Il giudice non le ha tenute in conto alcuno e ha assolto l’imputato nel merito, per i fatti successivi al 1994. Ivi compreso il presunto appoggio elettorale massiccio delle cosche alla sua candidatura: solo che 19 anni fa si votava con il sistema uninominale e quindi il voto al partito (Forza Italia) nel Trapanese veniva dato obbligatoriamente al candidato D’Alì. Senza parlare di tutta la vicenda della Calcestruzzi Ericina e delle presunte pressioni sul prefetto di Trapani Fulvio Sodano, su cui le trasmissioni di Michele Santoro si sono diffuse: assolto anche da questo.
I fatti anteriori al ’94 prendevano in considerazione invece una serie di vecchie storie, a partire dai rapporti del padre con Francesco Messina Denaro, che fu campiere nei terreni da lui acquistati, fino alla compravendita di un terreno in contrada Zangara, che D’Alì avrebbe venduto per 200 milioni delle vecchie lire a un mafioso, Francesco Geraci. La vendita sarebbe stata però soltanto simulata e i soldi sarebbero stati restituiti, perché quel terreno sarebbe appartenuto in realtà a Totò Riina. Il giudice ha fissato la data della prescrizione alla data dell’ultimo assegno che Geraci firmò a D’Alì, e cioè il 10 gennaio 1994.
Tra i primi a congratularsi con il senatore, il leader del Pdl Silvio Berlusconi e Renato Schifani, ex presidente del Senato. Anche Schifani è indagato per concorso esterno. Anche per lui hanno chiesto l’archiviazione. Anche per lui un Gip ha ordinato nuove indagini.