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25/10/2013 19:40:00

Processo sulla "trattativa", parlano la figlia di Lima e Germanà

Susanna Lima, architetto, ieri è stata interrogata, come teste della Procura, al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Il padre è accusato di essere stato uno dei referenti politici di Cosa nostra. Accusa respinta dalla figlia, rispondendo ad una domanda dell'avvocato Basilio Milio, che difende gli ex ufficiali dell'Arma Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, imputati al processo: «Ho la certezza - ha detto - che mio padre non è stato assassinato perché non rispettava i patti con la mafia. Di patti non ne aveva mai stretto e tanto meno aggiustava processi».
Della corrente "andreottiana" in Sicilia, Salvo Lima era il massimo esponente. Al funerale, la figlia non ebbe modo di parlare con Andreotti. «Lo incontrai - ha ricordato - a Palazzo Giustiniani, a Roma, tra il 12 aprile e il 12 maggio 1992. Con me c'era mio marito. Eravamo ancora sulla porta e mi chiese se avevo notizie sull'omicidio di mio padre. Di Vito Ciancimino non se ne parlò più». Quanto al defunto ex sindaco mafioso di Palermo che per l'accusa ebbe un ruolo fondamentale nell'avvio delle trattativa Stato-mafia, «i rapporti con mio padre erano solo politici. Con Ciancimino non aveva rapporti personali».
«Mio padre - ha aggiunto rispondendo al pm Roberto Tartaglia - non aveva alcun timore per la propria incolumità. Tanto è vero che passeggiava con mia figlia di un anno e mezzo tranquillamente. Se avesse avuto timore, non avrebbe fatto correre alcun rischio a mia figlia».
In Procura Susanna Lima si è presentata spontaneamente «perché - ha spiegato - spero che da questo processo venga fuori una nuova lettura dell'omicidio di mio padre».
L'altro teste ascoltato ieri, è stato l'attuale questore di Piacenza Rino Germanà. Il 14 settembre 1992, tornato a dirigere il commissariato di polizia di Mazara del Vallo, sfuggì ad un agguato mafioso. «Fui trasferito, senza che ne sapessi nulla - ha ricordato - dalla Criminalpol di Catania a Mazara il 7 giugno». Il 19 maggio, prima della strage di Capaci, aveva consegnato alla Procura di Marsala un rapporto sul "manniniano" Vincenzo Inzerillo.