Rassegnamoci, probabilmente non sapremo mai tutta la verità sull'omicidio di Don Michele Di Stefano, l'anziano prete assassinato a colpi di bastone lo scorso Febbraio nella canonica della chiesetta del borgo rurale di Ummari, vicino Fulgatore. La giustizia, che a volte è molto lenta, questa volta è stata velocissima. E il processo nei confronti del reo confesso assassino, Antonio Incandela si concluso ieri con una condanna dell'imputato a trenta anni di reclusione. Il processo si è svolto con il rito abbreviato: e pertanto, sconto di pena per lui, velocità del processo, e, soprattutto, porte chiuse, senza giornalisti o cittadini ad assistere e a farsi una ragione su un delitto che è assurdo, e che resta ancora inspiegato, soprattutto nel movente. Incandela ha detto dapprima, quando è stato incastrato dagli investigatori, di aver ucciso Di Stefano perchè non sopportava le sue omelie, poi ha ritrattato parzialmente e ha fatto capire di essere stato in qualche modo molestato dal prete in gioventù. Certo è che Incandela era molto noto ad Ummari per la sua irruenza, e perchè pizzicato più volte per dei piccoli attentati incendiari.
La rabbia a Fulgatore è tanta. Non solo perchè i cittadini volevano per Incandela l'ergastolo, ma anche perchè avrebbero voluto capire di più intorno all'omicidio di Padre Michele. E non sarà possibile. Tra l'altro, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, anche la formula del reato per il quale è stato condannato lascia un po' interdetti: omicidio a scopo di rapina. Sembra che le parti si siano messe d'accordo - nulla di scandaloso, per carità, è nelle cose dell'amministrazione della giustizia - per evitare che tutte le chiacchiere e gli elementi rivelati in questi ultimi mesi finissero in un modo o nell'altro nel processo. Quindi la verità consegnata dalla sentenza è una: Incandela voleva dei soldi, ha pensato bene di rapinare Don Michele, e lo ha ucciso nel sonno. Tutti sanno però che non si tratto solo di questo.