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21/11/2013 07:05:00

Inside Golem II. I postini. Ecco come il boss smistava i pizzini

Continua il viaggio all'interno della mafia in provincia di Trapani e del sistema di potere del super latitante Matteo Messina Denaro con i fatti emersi nel corso del processo scaturito dall'operazione Golem II. Qui le puntate precedenti (1 - 2 ).

Il sistema postale della mafia è qualcosa di architettato nei minimi particolari. E’ il sistema con cui i boss e gli affiliati comunicano. Senza lasciare tracce. Senza fare chiasso, evitando di essere intercettati. I latitanti e i sodali hanno messo in moto negli anni un sistema di smistamento di messaggi attraversi i cosiddetti pizzini. Nell’epoca delle tecnologie avanzate i latitanti utilizzano semplici pezzi di carta, scritti a macchina. Nel covo di Bernardo Provenzano a Montagna dei Cavalli ce n’erano in gran quantità. Pronti per essere consegnati. Nel covo dei Lo Piccolo i pizzini trovati contenevano le regole principali dell’organizzazione. Anche Matteo Messina Denaro si serve dei pizzini. I postini devono essere persone fidate. Persone, che non apriranno mai il pizzino per leggere cosa c’è scritto, e che seguono per filo e per segno le regole per lo smistamento della posta. Persone come Vincenzo Panicola, ad esempio. Panicola è cognato del super latitante Matteo Messina Denaro, avendo sposato la sorella Patrizia. E’ finito anche lui nel pentolone dell’inchiesta Golem II. E anche lui è stato condannato dal tribunale di Marsala nel processo di primo grado: 10 anni di carcere per il cognato del boss. Nella memoria d’accusa dei Pm viene tracciato il compito che aveva nell’organizzazione Panicola. Quello di postino: “cioè quello di assicurare le comunicazioni, attraverso i cosiddetti pizzini, del suo capo latitante con il resto dell’associazione mafiosa”. Messina Denaro, si è scoperto nel corso delle tante inchieste sulla mafia in provincia di Trapani e dintorni, intratteneva diversi rapporti di corrispondenza. Quelli con Provenzano, quelli con Lo Piccolo. Si è arrabbiato parecchio Messina Denaro quando nel covo di Provenzano hanno ritrovato tutti quei pizzini, alcuni dei quali parlavano proprio di lui. Con Provenzano Matteo Messina Denaro parlava di affari, come del business della grande distribuzione con i supermercati a marchio Despar gestiti da Giuseppe Grigoli. Ma anche di altre vicende e persone. Come Tonino Vaccarino, con cui Messina Denaro aveva cominciato una fitta corrispondenza. Vaccarino è l’ex sindaco di Castelvetrano ingaggiato dai servizi segreti per entrare in contatto col boss e stanarlo. Dopo i fatti di Montagna dei Cavalli Messina Denaro decise di rendere ancora più criptici i messaggi nei pizzini cambiando nome alle persone con cui parlava. Lui era Alessi. Vaccarino era Svetonio.

 

LE REGOLE DEI PIZZINI

E’ un sistema molto accurato. Scrivono i pm Marzia Sabella e Paolo Guido:
“consente ai capi latitanti di svolgere le funzioni organizzative dell’associazione mafiosa, salvaguardandogli, al contempo, le esigenze di sicurezza esterna ed interna, cioè sia nei confronti delle Forze dell'ordine impegnate nella sua ricerca sia nei confronti degli stessi sodali dai quali si possono comunque temere eventuali delazioni e collaborazioni con la giustizia. Invero, i pizzini riducono al minimo i più rischiosi incontri personali del boss, ma consentono di mantenere stabili contatti con le famiglie e gli uomini d’onore delle diverse province della Sicilia; a differenza delle comunicazioni telefoniche e telematiche, non sono intercettabili; sono di dimensioni tali da essere facilmente occultabili e, anche per questo, non possono essere seguiti in tutti i numerosi e complessi passaggi; sono confezionati in modo tale da renderne impossibile la lettura da parte dello stesso tramite non essendo pensabile aprirli senza disfarne la confezione; contengono nomi in codice non facilmente identificabili”.
Messina Denaro pone ulteriori regole al sistema dei pizzini. Lui innanzitutto non scrive mai direttamente le sue lettere. O a macchina o le fa scrivere ad altri. E questo per evitare che sia riconosciuta la sua calligrafia. L’apparato delle comunicazioni di Matteo Messina Denaro si basava poi su due regole ferre. “La prima attiene al divieto di lasciare traccia materiale sia dei biglietti che dei movimenti posti in essere per la consegna/prelievo degli stessi. Si è accertato, invero, che è ordine perentorio del latitante ai suoi interlocutori epistolari quello di bruciare il pizzino ricevuto subito dopo averlo letto”. La seconda regola consiste nel ridurre al minimo il numero dei “tramiti”, dei postini, e le occasioni in cui la posta viene veicolata. Lo scambio – nel vademecum di Matteo Messina Denaro – deve avvenire in maniera unilaterale, i suoi interlocutori in sostanza non possono cercare il tramite per ricevere o consegnare la missiva. “E’ inoltre emerso che il latitante ha imposto che i due diversi momenti dell’invio dei suoi pizzini e della raccolta dei pizzini a lui indirizzati devono avvenire rispettivamente tre sole volte l’anno e, per di più, in date rigidamente prestabilite”.

 

IL CALENDARIO DELLA POSTA

Eccolo allora il calendario della posta del super latitante. Lo ha descritto in aula l’ex capo della Mobile di Trapani Giuseppe Linares.

— Messina Denaro Matteo redige i propri pizzini nei periodi compresi tra:
• la fine di gennaio e l’inizio di febbraio;
• la fine di maggio e l’inizio di giugno;
• la fine di settembre e l’inizio di ottobre;

— tali pizzini giungono ai destinatari dopo circa 2/4 settimane ovvero, nei periodi:
• 10-28 febbraio;
• 10-28 giugno;
• 10-28 ottobre;

— i pizzini di risposta al latitante sono raccolti a ridosso del:
• 20 aprile;
• 1 settembre;
• 20 dicembre.


 

I POSTINI

Di tutta la catena dei postini, gli ultimi tramiti sono quelli più fidati. Dalle indagini è emerso che chi aveva stretto contatto col boss era prima Filippo Guttadauro, cognato di Messina Denaro, che era l’ultimo anello di congiunzione tra il boss e il mondo esterno. Il suo portavoce, arrestato nel 2006.  Lui capeggiava il sistema di smistamento. Poi veniva Salvatore Messina Denaro e Vincenzo Panicola, che dopo l’arresto del fratello del boss prese il suo posto. Panicola raccoglieva e smistava i pizzini. Come quelli indirizzati a Svetonio Tonino Vaccarino. Quello di Panicola, secondo gli inquirenti, non era stato un mero ruolo di ignaro postino. Ma doveva conoscere a monte le regole dello smistamento della posta. Il ruolo di Panicola e di chi veicolava i messaggi del boss per i pm è centrale nell’azione di favoreggiamento al boss. “E’ pacificamente attribuito dalla costante giurisprudenza valore di partecipazione all’associazione mafiosa ‘all’attività di trasmissione di messaggi scritti tra membri influenti della medesima, in quanto essi ineriscono al funzionamento dell’organismo criminale…sotto il profilo del mantenimento di canali informativi tra i suoi membri che è incombenza di primaria importanza per funzionamento dell’associazione per delinquere’”.
Panicola poi fa il passo successivo. Sarà, secondo le indagini, colui che aiuterà economicamente il boss durante la latitanza. Secondo un’intercettazione infatti Panicola avrebbe consegnato direttamente del denaro al cognato latitante. 8 mila euro per tirare a campare, da smistare a qualche sodale che, se non tenuto buono avrebbe potuto vuotare il sacco alle forze dell’ordine. Quello che emerge da Golem II è in sostanza una fitta rete di fiancheggiatori che hanno speso la loro vita a proteggere la “primula rossa” di Cosa nostra.