La professoressa Ignazia Bartholini, docente di Sociologia della Devianza all’Università di Palermo, Polo di Trapani, non è nuova nell’osservare la società con lenti d’ingrandimento e le problematiche del territorio con lo spirito della ricercatrice. Se c’è qualcosa di nuovo nella docente, questo è il particolare problema che attenziona, di volta in volta, e il modo con cui lo fa, con passione, scandagliando i fenomeni con capacità di analisi e di novità, e lanciando proposte pertinenti sulla base dei contesti. Da qui nasce la sua ultima fatica Violenza di prossimità. La vittima, il carnefice, lo spettatore, il “grande occhio”, stampato dalla FrancoAngeli e uscito, in questi giorni, nelle librerie.
Il saggio pubblicato acquista particolare importanza perché in prossimità della “Giornata internazionale sull'eliminazione della violenza contro la donna”che si celebrerà il 25 novembre.
Abbiamo posto alcune domande all’autrice che ha risposto con appropriazione di linguaggio.
Perché il titolo “di prossimità”?
«Rispetto al passato, la violenza oggi non è rivolta contro i nemici o gli estranei, bensì, sempre più spesso, nei confronti delle persone più prossime. La violenza, infatti, s’instaura là dove l’investimento emotivo/oppressivo è più forte. Riflettere oggi sul fenomeno della violenza di prossimità pone in evidenza una categoria della relazione e dell’agire che, pur facendo parte dell’esperienza quotidiana, non è percepita nella sua valenza effettiva».
Cosa intende dire che la violenza coinvolge la sfera più intima e affettiva?
«Che la violenza di oggi, considerata a buon diritto un fenomeno trasversale e multiforme, si esplicita nella relazione interpersonale e coinvolge in modo allarmante quella dimensione micro delle soggettività prossimali: il partner, il padre, l’amico».
Lei dice che la violenza costituisce lo scheletro della relazione in assenza di conflitto e pur nella varietà delle modalità – fisiche, psicologiche e simboliche - in cui si manifesta, definisce le identità di ruolo dei partecipanti all’interazione violenta. Ma quali sono i ruoli che i soggetti coinvolti assumono all’interno di una relazione?
«Sono rintracciabili nella reiterazione di una drammaturgia partecipata e nella disposizione di ruolo della vittima e del carnefice ma necessita di uno spettatore; la violenza di prossimità, infatti, può realizzarsi solo se il rituale, al pari di uno spettacolo, prevede degli spettatori. E questi, nel caso di una relazione intima, sono i figli, o, in maniera indiretta, i parenti, i vicini di casa, i colleghi di lavoro, che sanno e non possono ‒ o non vogliono ‒ intromettersi, ma che, nell’un caso e nell’altro, consentono lo svolgersi della drammaturgia. Spettatori di secondo livello, per l’appunto “il grande occhio”, sono poi i lettori del newscoverage o gli utenti dell’infotainment televisivo, in grado di fare oggi del carnefice e della vittima, i protagonisti di un temporaneo quanto caduco “circo mediatico”. Lo spettatore assume, poi, una funzione cruciale per la stessa replica della performance violenta, divenendo il testimone di pietra di ciò che all’interno della relazione si consuma».
Contributi all’interno del libro, efficaci a definire le dinamiche plurime della violenza di prossimità nella Sicilia occidentale, sono dati da Roberta T. Di Rosa e Francesca Rizzuto le quali affrontano i temi specifici della violenza sulle donne migranti l’una, e del ruolo della stampa l’altra.
Il volume, grazie alle ben note capacità della Bartholini, non si ferma a definire le personificazioni e i ruoli dei soggetti interagenti in modo diretto (vittima e carnefice) e indiretto (spettatori e “guardoni televisivi”). Esso percorre alcune delle principali articolazioni teoriche del dibattito contemporaneo concernenti la violenza di prossimità e le pone abilmente a confronto.