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06/03/2014 16:30:00

Bioetica. Dieci domande al prof. Cognato

Grazie prof. Cognato per aver accettato di relazionare al nostro seminario. Le abbiamo chiesto di parlarci di Bioetica. Ci dica cos’è?

La parola Bioetica è un neologismo coniato da Potter negli anni 70 per indicare una esigenza relativa alla salvaguardia del nostro pianeta. Secondo l’oncologo statunitense era necessario, viste le repentine scoperte scientifiche e la invasiva applicazione tecnica in ogni ambito della vita sulla terra, cominciare a pensare in maniera sistemica, cioè all’opposto di una mentalità a compartimenti stagno. Egli plasticamente parla di un ponte tra le conoscenze scientifiche (espresse tutte dal suffisso “bio”) e la cultura umanistica umanistica (espressa dalla parola “etica”). In altri termini, era necessario cominciare a pensare e ragionare avendo come obiettivo lo sviluppo sostenibile del pianeta. Oggetto, dunque, della incipiente riflessione bioetica fu la “sopravvivenza” del pianeta, non più da intendere secondo il paradigma darwiniano di una sopravvivenza frutto di scontri tra forze e di causalità genetico-ambientali, piuttosto una sopravvivenza quale risultante di una concertazione ragionevole/razionale tra le parti in causa, che sono poi tutti i soggetti coinvolti nella difesa della vita sul pianeta. La sfida fu ed è quella del dialogo tra la generazione presente per garantire le generazioni future.

 

Quale consigli per far conoscere la Bioetica oggi?

Se volete fare bioetica e cercare di raggiungere più persone possibili, non dovete presentare la bioetica come una disciplina che si consuma solo nell’alveo della medicina e dei problemi che essa solleva quando incontra le questioni relative al vivere e al morire. Proprio partendo da queste cruciali questioni, sarebbe il caso che si presentasse la bioetica innanzitutto come una esigenza globale per la salvaguardia della identità dell’uomo, identità che passa per la cruna delle concezioni capitali del nascere e del morire, dell’essere curati ed accompagnati. Insomma una bioetica come cultura della vita e per la vita. Faccio un esempio: se sentiamo la parola bioetica, pensiamo alla questione ecologica? Se ciò non accade è perché la bioetica nel nostro paese, ma non solo ha subìto una riduzione concettuale, perdendo di vista il suo ampio respiro, che spazia dalle questioni inerenti la medicina sino a quelle a carattere ambientale. Allora, studiare la bioetica per un movimento per la vita, sebbene questo sia segnato storicamente dal fatto di essere nato per ribadire con forza la difesa del nascituro sin dal concepimento, dovrebbe, vista la velocità con cui si susseguono gli avvenimenti storici, cominciare ad allargare i suoi orizzonti, ad occuparsi cioè anche di altro, non per mire che non siano quelle di intercettare la sensibilità morale, che funziona come un sismografo che registra i vari smottamenti della nostra società.

 

Di cosa si occupa la Bioetica?

Al di là delle intenzioni del coniatore di questo nuovo termine che da più di quarant’anni catalizza molti dibattiti culturali a più livelli (da quelli televisivi a quelli sulla carta stampata fino ai consessi accademici), la Bioetica è un tentativo di rispondere ad un’emergenza morale che ha una peculiarità, ovvero l’esperienza disorientante del rapporto assolutamente inedito tra natura e tecnica. In altri termini, la riflessione che essa porta avanti si occupa di comprendere tutti quei problemi morali che sono, o attinenti o conseguenti, al rapporto strettissimo tra natura e tecnica. Questo rapporto esiste da quando l’uomo ha messo piede sulla terra, ma mai come oggi tale rapporto aveva assunto la configurazione secondo cui non basta più l’idea classica che dice “questo è secondo natura e questo è contro natura” per chiarire i fatti. La domanda “Che cos’è Natura?” è ormai tra quelle più formulate e meno soddisfatte, perché, per esempio, solo 40 anni fa coloro che oggi sono in una rianimazione erano sotto terra. Ciò significa che il concetto di vita si è allargato fino a non comprendere più il confine ormai labile, sfumato, tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale.

 

L’inizio vita è la prima grande questione della Bioetica. Molti ci obiettano che l’embrione “è un ammasso di cellule”. Quali sono le argomentazioni secondo cui dovremo sostenere che la fusione dei gameti sessuali porti ad una identità verso la quale è dovuto un rispetto?

Spesso tutta la discussione si polarizza nel dire “è persona” dopo il 14 giorno, oppure lo è prima, o che lo è solo quando l’embrione si annida nella parete uterina perché prima avendo ancora le cellule totipotenti, dunque indifferenziate, possiamo ancora intervenire, perché non siamo dinanzi ad una identità personale ma ad un ammasso di cellule. Come rispondere? Perché noi pensiamo che quella ‘cosa’ andrebbe difesa come un bambino in braccio? Quali sono le vie argomentative per sostenere ciò? La biologia può veramente dirci se un embrione è persona oppure no? O può solo offrirci gli elementi di natura empirica per sostenere che ci sono dei buoni motivi per assegnare uno status morale all’embrione capace di procacciarsi la difesa della vita così come naturalmente pensiamo nei confronti delle persone? Perché coloro che sono per l’aborto sostengono semplicemente che l’embrione non sia persona e noi cristiani, invece, prestandogli il fianco, ribattiamo:“no, è persona!”? E’ questo il momento in cui la discussione si ingessa, si cristallizza secondo questo schema: da una parte ci sono coloro che dicono che non è persona e dall’altra coloro che dicono che è persona. Ma come facciamo noi a confutare loro così come loro fanno a confutare noi? Remiamo su due fronti assolutamente opposti perché siamo caduti nel tranello di non smascherare il punto della controversia. Se continuiamo a dire che dalla fusione dei gameti sessuali abbiamo una persona, non avremo modo di dimostralo, perché non ci siamo ancora chiesti che cosa intendiamo quando usiamo il concetto di persona applicato all’embrione. Proviamo a farlo e poi proviamo a chiederci perché molti lo rifiutano, ci accorgeremo che il rifiuto non sta nel concetto di persona in sé ma in un preciso concetto di persona che noi presentiamo. Se per alcuni, per esempio, persona è solo colui che è capace di sentire il piacere e il dolore oppure persona è colui che è capace di intendere e di volere oppure, ancora, persona è colui che ha ed esprime il proprio interesse per la vita, ci accorgeremo subito che l’embrione non ha nessuna di queste caratteristiche, ed è solo per questo che questi negano che l’embrione sia persona. Una volta capito ciò, dovremmo adottare una strategia diversa, che non presti il fianco ad una sempre possibile strumentalizzazione del concetto stesso di persona, ma che, al contrario, si sottragga completamente e si volga verso un’altra argomentazione, che è la seguente: “dalla fusione dei gameti, quella cosa lì, può non essere una cosa che non appartiene alla specie umana?” Da qui provo a formulare un sillogismo: “Uccidere una persona è sbagliato - l’embrione non è una persona - uccidere l’embrione è giusto”. E oppongo quest’altro sillogismo: “Uccidere un essere umano è sbagliato - l’embrione è un essere umano - uccidere l’embrione è sbagliato”. Così facendo mi sono semplicemente sottratto a questo gioco consistente nella risemantetizzazione del concetto di persona e ho posto di fronte a me e agli altri l’evidenza empirica, ovvero biologica, secondo cui da una donna non è mai venuto fuori un cavallo. La scienza infatti ci dice che questa nuova vita intrinsecamente possiede una forza che lo porterà in maniera articolata e complessa alla formazione di un individuo. Potremmo dire che persona, se proprio vogliamo usare questo termine, è colui che non può cessare di essere senza cessare di esistere. Solo così è ammissibile l’uso del termine persona applicato all’embrione senza il pericolo di possibili strumentalizzazioni riduzionistiche.

 

Quali strategie è meglio attuare per sostenere le nostre posizioni?

Voi siete convinti che la vita umana inizia sin dal momento del concepimento. Per quale motivo? Perché lo dice il Magistero della Chiesa cattolica? Ritenete l’interruzione volontaria di gravidanza e dunque vi attivate ad aiutare tutte le donne che vorrebbero abortire ma potrebbero anche essere aiutate a cambiare idea per il fatto che siete cattolici? Interrompere volontariamente la gravidanza è sbagliato perché siamo cattolici o questo è comunque sbagliato e i cattolici sono d’accordo in questo? Una cosa è giusta perché Dio la vuole? O Dio la vuole perché è giusta!? La mia idea è che occorre rimanere razionali e istruire un discorso ragionevole senza necessariamente fare leva su una argomentazione a stampo teistico. Solo così, dunque, potrei dialogare con tutti. L’unico modo in cui si potrebbe interrompere il dialogo è quello secondo cui anche questa ‘novitas biologica’ è alla mia mercé, cioè io decido comunque, in quanto sono donna, di pensare che il “corpo è il mio e l’utero è mio e lo gestisco io” e allora apporto l’argomentazione della emancipazione femminile con la quale decido che sono sempre io a decidere su questa nuova vita. E qui non è tanto uno scontro/incontro tra una razionalità e una prospettiva di fede ma lo scontro sta nella percezione del valore vita e sulla sua articolazione con altri valori. Dico così perché anche l’emancipazione femminile, che corrisponde alla libertà personale, è un valore. Il punto è comprendere in che rapporto sta la libertà personale con il valore di una vita. E qua arriviamo ad un livello in cui non sono più validi solo i ragionamenti, ma quello che sta a monte di certi ragionamenti. Cioè in fondo, se un soggetto non percepisce il valore della vita, che appunto scaturisce da quella fusione dei gameti e che costituisce la piattaforma senza la quale non ci sarei neanche io - perché vorrei ricordare che ognuno di noi è stato uno zigote -, farà scaturire tutta una serie di ragionamenti che seguiranno quella impostazione di fondo, che attiene al sentimento del valore, che insieme alla ragione, all’intuizione e alla volontà, concorre a far nascere in noi quella riflessione etica che costituisce il nostro orizzonte di uomini e donne. Perché la questione etica è una questione ragionevole e quindi anche razionale ed è il livello su cui mi sono subito posto parlando con voi, ma per fortuna non si riduce solo a livello razionale, ma in quanto coinvolge tutta la persona, i livello sono diversi

 

Cosa intende più precisamente quando dice ‘percezione dei valori’?

In fondo i valori, a differenza di tutto ciò che noi vediamo, che lo possiamo appunto appurare, ripetere su un tavolo di laboratorio, sono conoscibili ma non alla stregua di tutte le altre cose che possiamo conoscere sul piano empirico/fattuale. In altre parole, non posso agguantare un valore, né posso ripeterlo su un tavolo da laboratorio, né posso dire che credere nel valore della vita sia come credere che un oggetto lasciato nel vuoto cada a terra. Perché un oggetto nel vuoto che cade a terra è affermabile per evidenza scientifica; i valori, purtroppo, ma anche per fortuna, sono quegli oggetti di conoscenza che non cadono sotto il raggio della evidenza scientifica ma cadono sotto quel raggio di una evidenza assiologica che è legata al nostro sentimento percettivo del valore. Anche per quanto riguarda l’inizio della vita fin dal concepimento o ce l’abbiamo questa percezione o non ce l’abbiamo. Naturalmente la percezione è veicolata dalla assunzione corretta dei dati empirici. Nel caso della vita fin dal concepimento, il dato empirico secondo cui dalla fusione inizia un nuovo processo che non è riducibile a niente se non a se stesso e che si costituisce di quel patrimonio che sarà il medesimo nell’adulto, depone a favore della percezione della vita fin dal concepimento.

 

E quindi quale può essere l’obiettivo del nostro movimento?

Dovete imparare a fornirvi di uno strumentario a carattere razionale per poter sostenere le vostre convinzioni ed evitare di bypassare tutto questo subito cercando la ‘mamma’ che in questo caso è la Chiesa. Cioè è molto più semplice dire che noi siamo contro l’aborto perché siamo cattolici; in automatico c’è già un rimando al Magistero della Chiesa; tradotto: “andatevelo a leggere”. Più difficile è invece dire che io sono d’accordo con i Cattolici però mi chiedo non tanto cosa la Chiesa dice in merito, ma perché lo dice. Qual è l’assunto di fondo da cui parte la Chiesa? Se noi questo non lo comprendiamo, noi non andiamo da nessuna parte e siamo già destinati a schierarci. I giovani, per esempio, digeriscono pochissimo le prediche, ma vorrebbero un confronto e soprattutto hanno le antenne abbastanza tese per cogliere se le onde che provengono da chi parla abbiano un certo grado di ragionevolezza oppure un altissimo tasso di principio di autorità. Spesso noi preferiamo usare il principio di autorità senza quello di ragione e dunque tutti automaticamente spengono il cervello e fuggono. Ora chiaramente questo obiettivo è in fondo la nostra grande sfida. Cioè “riusciranno i nostri a inerpicarsi sul crinale irto e molto scivoloso dell’argomentazione razionale?” L’unica, possibile, per poter dialogare - non tanto per convincere e far passare l’altro dalla nostra parte - ma sicuramente per far dire all’altro che noi non siamo così avulsi dalla realtà, né abbiamo posizioni ‘peregrine’ o ‘dogmatiche’. E lo dico da teologo, non lo sto dicendo semplicemente da bioeticista. Il problema morale dell’interruzione volontaria di gravidanza è preceduto da un problema di natura empirica ovvero “che cos’è questa ‘cosa’ nella pancia della mamma?”. E questo non ce lo dice la morale, non ce lo dice neanche Gesù, ma la Biologia che, però, non ci dice che è persona ma qualcosa che appartiene alla specie umana. Se noi siamo convinti che il volto dell’altro sia l’unico oggetto della nostra attenzione etica, o meglio ancora, se l’etica nasce perché il volto dell’altro ci provoca, allora questo volto dell’altro è anche quello dell’embrione. Il presupposto è voler trattare moralmente l’altro, nel senso che quest’altro è sempre moralmente ‘fine’ e mai ‘mezzo’. Nell’interruzione volontaria di gravidanza non si tratta di capire di chi è l’interesse in questa intenzione (la carriera della donna, i problemi economici, etc, etc…), ma la domanda è “che cosa c’è in gioco?”. E dunque, la vita del nascituro configgendo con altre vite, con altri valori, ha la meglio o no? Cioè il valore della vita, confliggendo con il valore dell’assetto economico disastroso di una donna, ha la meglio o no? Ecco noi dovremmo dire che ha la meglio, perché la vita ha sempre la meglio rispetto all’economia.

 

Come dobbiamo porci con quanti non condividono questa scala dei valori?

Poniamo caso ci si presenti un altro criterio superiore alla vita (l’economia, la capacità intellettiva, etc, etc…) noi dobbiamo accettare che questo deve valere anche, non tanto e non solo per i nascituri, ma anche per chi è già nato; cioè in poche parole, qualora dovessimo noi cadere in bassa fortuna, poiché l’economia è superiore, dovremmo anche ammazzarci! E invece non mi sembra che saremmo tutti d’accordo. Perché noi non ci ammazziamo ma sosteniamo che anche se siamo poveracci dobbiamo vivere? Allora dovremmo spingere i nostri interlocutori a riflettere sulla coerenza interna dei nostri ragionamenti, cioè: non puoi pensare solo per un soggetto che l’economia è superiore e invece per tutti gli altri soggetti cambiare idea. A meno che si stabilisca un criterio per cui si è degni di vivere o morire. Ma la domanda nasce spontanea: chi può stabilire un criterio? A ben pensare, coloro che sostengono che si può anche abortire fanno lo stesso ragionamento, sebbene non lo si riconosca perché la differenza tra emettere un giudizio di morte per coloro che ancora non si vedono e per coloro che già si vedono e soffrono si sedimenta solo sul piano emotivo, ma sul piano logico non si ravvisa nessuna differenza. Se, cioè, di fronte all’ebreo che muore in un campo di concentramento siamo emotivamente coinvolti e quindi percepiamo l’ingiustizia, non avviene così facilmente con l’embrione perché lì ci sono altri fattori emotivi che possono remare contro, come per esempio il fatto che mi convenga abortire perché ho già tanti problemi, ecc… Poiché l’embrione non si vede allora noi abbiamo un minore coinvolgimento emotivo e dunque decidiamo di abortire. Ma, ripeto, se stiamo sul piano della logica ed escludiamo l’emotività dovremmo dire che il ragionamento è identico. Tutti quelli, dunque, che sostengono che l’embrione umano, in quanto non ha alcune capacità, non è degno di vivere, stanno praticamente scegliendo un criterio che segna la soglia significativa di senso al di sotto della quale non si vive e sopra la quale invece si.

 

In tutto questo dove sta la fede?

La fede sta sul piano della genetica della percezione del valore. Cioè, se io sono cristiano la fede diventa per me un motore, un trampolino di lancio, una pedana che mi aiuta, a differenza di coloro che non credono, i quali fanno più fatica a percepire prima il valore. Il fatto che io creda in Dio e mi auto-concepisca come essere limitato e creatura, mi agevola nell’intuizione secondo cui non sono sempre nella possibilità di disporre di me stesso. Questo già mi aiuta a imboccare una vita ma solo a livello della percezione del valore. Se per esempio io affermo che “tutti gli uomini devono essere rispettati, tutti come fine e non come mezzo”, e questo è perfettamente comprensibile da parte di tutti, mi chiedo: dov’è Dio? Dio c’è se dico: ““tutti gli uomini devono essere rispettati, tutti come fine e non come mezzo, perché siamo a immagine di Dio”. Cioè abbiamo fatto un affondo, ma potevamo non farlo e voi già eravate d’accordo con me. Quindi possiamo riuscire ad enucleare un fondato logico senza il suo fondamento teologico, sebbene se ce lo aggiungiamo non fa male. Questa è solo una strategia che già i medievali usavano. S. Anselmo di Canterbury diceva che bisognava usare una metodologia “Remoto Christo”, cioè mettiamo tra parentesi la fede per un solo attimo – perché devo dialogare con l’ebreo e con il musulmano. Mettere tra parentesi non vuol dire mettere da parte Cristo ma vuol dire metterlo al fondo del fondo della mia discussione e non c’è bisogno che io lo citi. In fondo per comportarci bene non è necessario dire che noi siamo cristiani; lo sappiamo noi che lo siamo – come opzione di fondo, come scelta profonda, come orizzonte di senso eterno della nostra esistenza - , ma non perché non sia giusto, ma come strategia. Riflettiamo. Una cosa è giusta perché Dio la vuole o Dio la vuole perché è giusta? Si apre lo scenario: “Perché è giusta?” e comincio a cercare e a ricercare.

 

In alcuni paesi europei (Olanda e Belgio), hanno già accettato normalmente l’eutanasia. Questo cosa può significare per il valore della vita?

Bisogna portare l’interlocutore a dire “tu hai la possibilità di scegliere un criterio, stabilito il quale decidi chi sta sotto e chi sta sopra. Ebbene, io non ce l’ho. Questo mi è successo tante volte, cioè di pormi come colui che non avendo nessun criterio, si arrende. Poiché io non ho nessun criterio per dire chi deve vivere e non, voi invece ce l’avete, dimostratemi come siete riusciti ad ottenerlo. Di fronte a ciò, può succedere che l’interlocutore deponga le armi, ovvero si chieda: “Ma aspetta, ma noi da dove lo prendiamo questo criterio?”. Questo è un po’ l’idea socratica di porre l’interlocutore della sua assoluta nudità, poiché in fondo se loro scelgono un criterio lo fanno solo arbitrariamente; infatti ognuno può scegliere un criterio differente a questo punto: l’economia, l’emancipazione femminile, la qualità della vita eccellente, etc, etc… Se accettiamo l’idea che ciascuno può scegliere arbitrariamente un criterio, noi dove andiamo??!! Allora preferiamo dire: “Io non ho un criterio; non avendolo allora mi arrendo”. Il compito del Movimento per la vita è quello di vegliare e sostenere questo argine: o tutti o nessuno! Naturalmente, l’impresa è ardua.