Basta con gli slogan, con le bandierine, con la retorica. Basta con gli anatemi. “Basta con le associazioni per delinquere di tipo antimafioso”. Non usa mezzi termini Costantino Visconti, ordinario di diritto penale al Dems di Palermo. Occorre ripensare all’antimafia, occorre scrollarsi di dosso la vuotezza della retorica. Visconti nei giorni scorsi ha partecipato alla due giorni di Palermo proprio sul “ripensare l’antimafia”. Con lui ha partecipato anche Giovanni Fiandaca, presidente della commissione ministeriale per elaborare proposte di riforma alle norme antimafia, un luminare del diritto penale in tema di criminalità organizzata. Il tutto avviene a pochi giorni dall’approvazione del nuovo 416 Ter, la legge sullo scambio elettorale politico mafioso.
“Con l’antimafia c’è chi fa affari e fatturati” dice Visconti, intervistato dal Giornale di Sicilia. “C’è poi un modello di lotta a garanzia dei diritti costituzionali”.
La legislazione antimafia non è certo all’anno zero, si arriva dalle intuizioni più che ventennali messe in concreto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “Il tutto è avvenuto senza clamorosi strappi alle garanzie costituzionali”. E per Visconti un punto, soprattutto, è emerso dal convegno allo Steri di Palermo: “Non c’è antimafia senza garanzie a pluralismo, stanno e cadono assieme”. Sul primo testo del 416 Ter presentato dal senatore Pd Beppe Lumia a Palazzo Madama e rivisto alla Camera, Visconti ha un giudizio netto. “Quella di Lumia era una norma tecnicamente sgangherata e incostituzionale. Vaga e indeterminata nella fattispecie”. Questo perché avrebbe incriminato la mera “disponibilità” del politico a “soddisfare interessi” dei mafiosi”. “Ci sarebbe stata l’impossibilità concreta di celebrare i processi, a fronte di imponenti indagini, tanti avvisi di garanzia, ordinanze di custodia cautelare. Non si tratta di garantismo, ma di garanzie di rango costituzionale. E di efficacia razionale degli strumenti di lotta”. Insomma, poca fuffa e più sostanza. La norma, per Visconti, non sarebbe stata pericolosa per la mafia, ma per chiunque “occupi uno scranno pure nell’ultimo dei consigli comunali”.
Visconti torna poi a parlare della cultura antimafia, del fare concretamente antimafia. “Ci vuole pluralismo, non manicheismo. Al nostro convegno sedevano allo stesso tavolo il ministro orlando, accompagnato dal capo di gabinetto Gianni Milillo che poco prima era coordinatore della Dda di Napoli, il presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi, il sottosegretario allo Sviluppo economico Simona Vicari. Non può esistere una vera antimafia senza prestare attenzione al mondo delle imprese per tutelarle dal rischio di infiltrazioni”. In campo sono scesi anche i procuratori di Palermo, Napoli, Reggio Calabria. “Efficienza repressiva e salvaguardia dei diritti costituzionali, questo è il percorso comune. Senza sgolarsi”.
Sempre sull’economia e il pericolo di infiltrazioni delle cosche nelle imprese Visconti ha sottolineato l’importanza delle riforme “epocali” che la commissione Fiandaca ha approvato all’unanimità. “Da Palermo parte la rimonte perché la lotta alla mafia non spezzi le gambe alle imprese in pericolo. L’Infiltrazione va eliminate, appunto perché l’impresa non cada completamente in mani mafiose”. Visconti rilancia un nuovo “patto tra l’antimafia dei tribunali, quella delle interdittive prefettizie e l’impresa, alla quale la coraggiosa Confidustria siciliana di Antonello Montante sa dare voce”. Il punto è rivedere sequestro e confisca “e valorizzare lo strumento di controllo giudiziario”. In sostanza puntare sui pezzi sani del management, “senza sbatterli fuori”. E “aiutare l’azienda a uscire dall’area, grigia, di rischio, per rilanciarla e restituirla al mercato”.