Non sono mancate le reazioni alla storia raccontata nei giorni scorsi dalla nostra redazione: l'organizzazione della Via Crucis a Mazara del Vallo (la manifestazione si è tenuta domenica) da parte di Vita Agate, nipote del boss Mariano Agate. In una nota inviata alla nostra redazione il Vescovo Domenico Mogavero precisa che "l’iniziativa è stata promossa da enti che hanno operato con responsabilità propria senza aver richiesto e ottenuto alcuna autorizzazione dagli uffici della Curia vescovile". E infatti, come abbiamo scritto, è riportato il simbolo del Comune di Mazara del Vallo, ma non quello della Diocesi, che non ha neanche inserito la manifestazione nel suo calendario ufficiale. Tuttavia Mogavero spezza una lancia a favore degli Agate: "La valutazione concernente le persone non può essere condizionata da legami di parentela in quanto ciascuno risponde personalmente delle proprie azioni", scrive il Vescovo. Dura la reazione di Mogavero nei confronti di Padre Giuseppe Fullone, sacerdote della parrocchia di Maria SS. del Paradiso, organizzatrice della Via Crucis, che, raggiunto dalla nostra redazione, aveva definit come "vicende di famiglia" i trascorsi da capomafia del defunto boss Mariano Agate. Per Mogavero le parole di padre Fullone sono "incaute e fuori luogo". Scrive il Vescovo di Mazara del Vallo: "Le dichiarazioni incaute e fuori luogo di padre Giuseppe Fullone sono manifestazioni da un lato una palese disinformazione circa la posizione della Chiesa in merito al fenomeno mafioso e ai suoi aderenti e dall’altro sono da censurare perché possono indurre valutazioni errate nei fedeli e negli osservatori".
Ecco cosa scrisse il Vescovo Mogavero, nel 2013, quando la moglie di Mariano Agate protestò perchè erano stati vietati i funerali al marito:
Il problema sollevato dalla moglie di Mariano Agate non chiama in causa il Vescovo di Mazara del Vallo, ma la comunità cristiana in quanto tale. E la prassi, ormai diffusa e consolidata di negare le esequie ecclesiastiche ai condannati per delitti di mafia (gli organi di informazione ne hanno dato vasta eco negli ultimi mesi), è il punto di arrivo di un percorso di maturazione religiosa e pastorale, considerata l’assoluta incompatibilità di tali delitti con i principi evangelici e il magistero della Chiesa. Nel caso in questione, il rifiuto delle esequie al marito della signora, più volte condannato con sentenza definitiva per delitti di mafia, non ha avuto alcuna forma di esposizione mediatica, come comprova il fatto che di esso non è stata data alcuna forma di pubblicità. Esso è stato comunicato direttamente alla famiglia per il tramite di un sacerdote. Tale provvedimento è giustificato dalla natura dei peccati (delitti) di cui il defunto si era reso colpevole; peccati che non sono stati annullati dall’unzione degli infermi a lui conferita. Infatti, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Molti peccati recano offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare (ad esempio restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite). La semplice giustizia lo esige» (n. 1459), la giustizia di Dio, non solo la giustizia degli uomini. In più, la riparazione del danno non è un semplice atto di pentimento, ma un vero e proprio cammino di conversione che impone il rifiuto dei comportamenti peccaminosi, nella stessa forma pubblica con la quale tali atti sono stati compiuti. Il pentimento intimo non basta. «La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale. Essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1460). E tutto questo non trasforma il peccatore in un collaboratore di giustizia, ma lo rende uomo purificato e riconciliato, che ha espiato adeguatamente i suoi peccati. In ogni caso, non si accosti il Beato Puglisi, che ha dato la propria vita per sconfiggere la mafia e il disprezzo di essa per la vita, a un uomo condannato per omicidi e strage.