Le province siciliane che dal punto di vista economico sono più vulnerabili alle infiltrazioni della criminalità organizzata sono Palermo e Trapani. Inoltre, per 4 imprenditori su 5 la relazione mafia-imprese ha inquinato le dinamiche di crescita socio-economiche. È quanto emerge dalla rilevazione sull'interazione tra economia legale e illegale dell'Osservatorio economico della provincia di Palermo in collaborazione con l'Istituto Tagliacarne di Roma.
Per sondare la percezione dei fenomeni illegali nella provincia di Palermo è stato interpellato un campione di 500 imprese. Secondo il rapporto, il connubio tra mafia e politica ha alterato lo sviluppo del territorio della provincia di Palermo per l'86% degli imprenditori intervistati. Per gli imprenditori interpellati, le «attività legali ascrivibili alle organizzazioni criminali incidono sul Pil provinciale per il 10,8%». Gli imprenditori hanno poi stimato il contributo in termini percentuali delle attività illegali che formano il Pil provinciale intorno al 9,5%. I settori maggiormente interessati dalle interferenze mafiose sono quelli delle costruzioni (77,8%), lavori pubblici (65,2%), commercio (22,4). Tra i comportamenti criminosi, due imprese su tre considerano estorsione e usura, senza tacere, però, la «potenziale responsabilità di una pubblica amministrazione che paga in forte ritardo i propri debiti alle imprese». Inoltre, secondo il 44,8% del campione, la criminalità organizzata aumenta la concorrenza sleale. Un imprenditore su 3, cioè il 34,6%, attribuisce alla criminalità la mancata crescita dell'occupazione.
Le province che si contraddistinguono per valori alti in reati spia che rivelano la presenza della criminalità organizzata sono Palermo e Trapani. La prima, in particolare, evidenzia una «vulnerabilità sociale ed economica che rende la provincia terreno fertile per la criminalità e si distingue per l'esercizio di tipo militare di un controllo capillare delle attività economiche, politiche e amministrative. Tra le strategie di contenimento del fenomeno gli imprenditori sottolineano l'importanza di un approccio preventivo da affiancare a quello repressivo, auspicando «politiche di coesione sociale e promozione del senso civico e di cultura della legalità».
Nel quadro di un ciclo recessivo, dal 2008 al 2012 la perdita di ricchezza netta a Palermo si è attestata intorno ai 13 punti percentuali. Inoltre, al 2012, il 25,8% delle famiglie palermitane (circa il doppio della media italiana) si trova in povertà relativa, rivelando una crescita di 1,7 punti percentuali rispetto al 2011. Palermo, con 39 punti percentuali di debito familiare in più rispetto al valore medio nazionale, è la seconda provincia italiana per livello di gravità del fenomeno. Secondo il rapporto, «ciò ha generato costi sociali, ambientali e da congestionamento delle infrastrutture e dei servizi, e ha eroso le forze produttive del territorio in particolare nel settore industriale e dell'agricoltura di qualità». In questo quadro, però, è emerso anche un nuovo modello di sviluppo economico, «un terziario più tecnologico, creativo e con un valore aggiunto più alto».
Nel 2013 il 14,8% delle imprese ha realizzato investimenti, soprattutto nel commercio (3,3%), terziario avanzato (2,1%) e costruzioni (1,5%). Il resto delle imprese, cioè l'85,2%, non ha fatto investimenti soprattutto per «difficoltà finanziarie o per la liquidità in cui versa» (59,6%). Secondo i dati dell'osservatorio economico, l'esame dell'andamento del fatturato fra il 2009 e il 2013 conferma che i periodi peggiori sembrano essere alle spalle. Le imprese con oltre 21 addetti, infatti, hanno registrato un fatturato in crescita del 6,7% nel 2013, mentre quello delle Spa si attesta intorno al 10,4% in più. A reagire meglio alle difficoltà della crisi sono state reti e filiere con un fatturato in crescita di 3,5 punti percentuali. Le imprese di Palermo più recenti hanno registrato flessioni nel fatturato meno marcate (-2,2%).