Avviato, davanti il Tribunale di Marsala, il primo dei processi scaturiti dall’operazione antimafia ‘’Eden’’, che il 13 dicembre 2013 vide finire in carcere trenta persone accusate di far parte o di aver favorito il clan del boss latitante Matteo Messina Denaro. Le richieste di rinvio a giudizio, però, furono poi ventidue. E di queste, sette sono già alla sbarra del Tribunale marsalese. Sono Antonella Agosta, Michele Mazzara, Giuseppe Pilato, Francesco Spezia, Salvatore Torcivia, Vincenzo Torino e Girolama La Cascia. Quest’ultima è individuata come una delle ‘’parti lese’’, ma deve rispondere di false dichiarazioni al pm. Spezia, titolare di un’impresa di costruzioni, la ‘’Spefra’’, è invece accusato di essere stato prestanome di Michele Mazzara, già condannato per aver ospitato, quando era latitante, l’allora boss mazarese Vincenzo Sinacori, arrestato nell’estate del 1996 e poi pentitosi. A difendere Spezia è l’avvocato Stefano Pellegrino, per il quale Spezia era realmente il titolare dell’azienda. ‘’Ciò – dice il legale – è confermato dal Tribunale delle misure di prevenzione che ha escluso la confisca’’. Il processo, dopo un’udienza durata pochi minuti, è stato rinviato al 29 maggio, quando con molta probabilità verrà riunito con un altro ‘’troncone’’ dello stesso procedimento penale. Quello la cui prima udienza è prevista per il 28 maggio e che alla sbarra degli imputati, sempre a Marsala, vede Patrizia Messina Denaro e Francesco Guttadauro, sorella e nipote del capomafia di Castelvetrano, e Antonio Lo Sciuto. Patrizia Messina Denaro, secondo gli inquirenti, avrebbe retto il mandamento in assenza del fratello, con il quale continuava ad avere rapporti nonostante la latitanza. L’inchiesta sfociata nello smantellamento di vertici e favoreggiatori della famiglia mafiosa Messina Denaro è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato e dai sostituti Paolo Guido e Marzia Sabella. I reati a vario titolo contestati sono associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento aggravato, compravendita elettorale, corruzione, turbativa d’asta, aggravati dalle finalità mafiose. Altri quattro imputati hanno già patteggiato la pena, mentre altri otto hanno chiesto il rito abbreviato. Per questi ultimi (Lea Cataldo, Lorenzo Cimarosa, Giovanni Faraone, Francesco Luppino, Giuseppe Marino, Mario Messina Denaro, Pinto Rosario e Nicolò Polizzi) si procede, quindi, davanti al gup di Palermo.
BONGIORNO. Dal padre, e poi dalla madre, aveva ereditato l'azienda, la Agesp spa. Ma assieme alla società, operativa nel campo dei rifiuti, Gregory Bongiorno s'era portato dietro anche un pesante fardello: il pagamento del pizzo. Lo scorso anno Bongiorno ha avuto il coraggio di denunciare i suoi estorsori e sotto processo, davanti al gup Giangaspare Camerini, sono finiti Mariano Asaro, ritenuto dagli inquirenti come un esponente di spicco di Cosa Nostra del Trapanese, Gaspare Mulè, e Fausto Pennolino. Il pm ha chiesto la condanna a dieci anni di Mulè, otto anni per Asaro e cinque anni e quattro mesi per Pennolino. Sono accusati di estorsione e tentata estorsione aggravate dalla modalità mafiosa.
Dopo aver preso in mano l'azienda in seguito alla morte della madre, l'imprenditore, nel 2005, avrebbe consegnato 10 mila euro a Mulè, che si era presentato quale rappresentante dei boss. Le pressioni estorsive sarebbero andate avanti fino ad aprile del 2007. Poi un lungo periodo di pausa, poichè i suoi estorsori vengono arrestati e condannati per il loro organico inserimento nell'associazione mafiosa.
Cinque mesi dopo avviene la svolta in Confindustria, con l'adozione del nuovo codice etico: fuori dall'associazione gli imprenditori che non denunciano. Bongiorno porta avanti l'attività fino a quando la mafia, l'anno scorso, ribussa ai cancelli della sua azienda. Pretende il pagamento degli arretrati: 60 mila euro, maturati, secondo la cosca, dal 2007 a oggi. Bongiorno, da un anno alla guida degli industriali trapanesi, allora denuncia. La sentenza è attesa per oggi.