Presente in aula Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del boss latitante Matteo Messina Denaro, in Tribunale, sono stati riunificati due dei quattro filoni in cui si era diviso in fase di udienza preliminare il procedimento scaturito dall’operazione antimafia ‘’Eden’’, nella quale, il 13 dicembre 2013, con l’accusa di far parte o di aver favorito il clan del boss latitante Matteo Messina Denaro, furono arrestate 30 persone. Solo per 22, però, furono poi avanzate richieste di rinvio a giudizio. Dieci di queste sono, adesso, alla sbarra del tribunale lilibetano. Oltre alla sorella del boss di Cosa Nostra, sono il nipote Francesco Guttadauro, Antonino Lo Sciuto, Antonella Agosta, Michele Mazzara, Giuseppe Pilato, Francesco Spezia, Salvatore Torcivia, Vincenzo Torino e Girolama La Cascia. Quest’ultima è individuata come una delle ‘’parti lese’’, ma deve rispondere di false dichiarazioni al pm. Dopo una camera di consiglio, il Tribunale (presidente del collegio Gioacchino Natoli) ha rinviato alla prossima udienza del 5 giugno, le eccezioni di ‘’incompetenza territoriale’’ sollevate per Mazzara, Spezia e Agosta, accusati di intestazione fittizia, con l’aggravante di aver favorito associazione mafiosa, reato che sarebbe stato commesso a Trapani, e per l’ingegnere Salvatore Torcivia, del Provveditorato per le opere penitenziarie di Palermo, accusato di turbativa d’asta. Il 5 giugno, invece, si deciderà sull’ammissione delle parti civili. Secondo l’accusa, Patrizia Messina Denaro, piuttosto loquace con gli agenti di polizia penitenziaria e sorridente, quasi a voler sdrammatizzare, avrebbe retto il mandamento in assenza del fratello, con il quale continuava ad avere rapporti nonostante la latitanza. L’inchiesta sfociata nello smantellamento di vertici e presunti favoreggiatori della famiglia mafiosa Messina Denaro è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato e dai sostituti Paolo Guido e Marzia Sabella. I reati a vario titolo contestati sono associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento aggravato, compravendita elettorale, corruzione, turbativa d’asta, aggravati dalle finalità mafiose. Parti offese sono Rosetta e Vincenzo Campagna, Girolama La Cascia ed Elena Ferraro. L’associazione mafiosa viene contestata a Francesco Guttadauro, Antonino Lo Sciuto e Patrizia Messina Denaro. A quest’ultima e a Guttadauro è contestato anche il reato di estorsione. Presente in aula, infine, un presidio di ‘’Libera’’ con il coordinatore provinciale Salvatore Inguì. A Palermo, intanto, il gup Cesare Vincenti ha condannato sei degli otto imputati che hanno scelto l’abbreviato. Il giudice ha escluso l'aggravante mafiosa e dichiarato prescritte le accuse contro Rosario Pinto, imprenditore imputato di favoreggiamento. Assolto invece Giovanni Faraone, meccanico anche lui accusato di favoreggiamento. A 5 anni e 4 mesi, stessa pena chiesta dal pm Paolo Guido, è stato condannato invece il dichiarante Lorenzo Cimarosa. La Procura ha chiesto che gli venissero concesse le attenuanti generiche, ma non la speciale attenuante prevista per i pentiti che apportino un contributo rilevante alle indagini. Per intestazione fittizia di beni sono stati condannati rispettivamente a 3 anni e 6 mesi e 3 anni Lea Cataldo e il marito Francesco Lupino. Di 4 anni e 2 mesi la pena inflitta al cugino di Matteo Messina Denaro, Mario Messina Denaro, accusato di tentativo di estorsione, mentre a 8 anni e 2 mesi è stato condannato il presunto capomafia di Campobello Nicolò Polizzi. Due anni la pena inflitta a Giuseppe Marino, imputato di corruzione.