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16/06/2014 06:15:00

Fallimento 6Gdo. Margiotta: "Grande amarezza. Lo Stato non ha tutelato noi lavoratori"

Dopo la sentenza del tribunale di Marsala che ha dichiarato il fallimento del Gruppo 6Gdo, l’azienda confiscata Giuseppe Grigoli prestanome di Matteo Messina Denaro, è tanta l’amarezza a Castelvetrano e non solo. Delusione per una storia che parla di uno Stato sconfitto, che non ha saputo gestire un patrimonio da 700 mila euro confiscato alla mafia. E l’ha mandato al fallimento. Con l’inevitabile paragone: la mafia dà lavoro, lo Stato lo toglie. Roberto Margiotta lavorava al Gruppo 6 Gdo, fa parte della Cgil, in questi mesi sono state diverse le assemblee, le proteste, gli appelli drammatici,  con un impiegato che tentò anche di darsi fuoco. Adesso si è arrivati alla fine, ma era davvero inevitabile?

 

E’ l’ennesimo capitolo triste della vertenza Gruppo 6Gdo. Con questa sentenza sono stati condannati i lavoratori alla perdita del posto. Ci sarebbe da fare una valutazione più ampia e complessa. In questi anni si sono viste tante cose. Una gestione del gruppo che più volte abbiamo definito dilettantesca, pessima. Questa sentenza, senza entrare troppo nel merito, ci lascia molto basiti. Per l’ennesima volta lo Stato non ha garantito i cittadini. Nella lotta alla mafia la prima cosa che devono fare le istituzioni è tutelare il cittadino lavoratore. Ma ci sembra che tutte le dinamiche siano andate in direzioni completamente opposte. Il cittadino lavoratore viene sempre messo in fondo.

 

Con il fallimento sfuma anche la possibilità di rinnovare per un altro anno la cassa integrazione per i lavoratori, si va tutti a casa?

 

Noi lavoratori, ma anche i sindacati, teniamo a dire che la vertenza non è chiusa. I sindacati stanno lavorando per vedere se c’è qualche possibilità per prolungare la cassa integrazione anche se è molto difficile. L’Agenzia dei beni confiscati sta anche lavorando per contestare questa sentenza. Ancora attendiamo speranzosi che qualcosa possa accadere. Anche se ad oggi c’è il fallimento.

 

E c’è anche tanta amarezza perché la vicenda si inserisce nel contesto di un territorio a forte vocazione mafiosa quale la provincia di Trapani.

 

Chi ha seguito non solo la nostra situazione, ma quella della gestione dei beni confiscati, sa benissimo che ci sono dei problemi strutturali enormi, e l’abbiamo denunciata già diversi anni fa al Prefetto, alle massime cariche dello Stato, come il Ministro dell’Interno. E’ inammissibile che vengano gestiti beni per miliardi di euro così male. Noi e i sindacati abbiamo indicato dei punti critici che potrebbero facilmente essere cambiati. Ma non si è fatto nulla. Era nell’interesse dei lavoratori, che avrebbero potuto continuare a lavorare in una azienda che era florida. Produceva 125 milioni di fatturato all’anno, aveva un mercato molto forte. L’azienda era solida, andava soltanto gestita bene, non ci volevano investimenti. Ma fare bene.

 

A questo punto si può soltanto coltivare la speranza che questa vicenda segni un punto di non ritorno per l’antimafia in Italia. E si cominci a fare antimafia per le persone e non per quella cricca di consulenti, funzionari, che con questa antimafia ci guadagna.


La mafia è sostanzialmente corruzione. All’interno dei beni confiscati, come in ogni settore in cui ci sono soldi, c’è corruzione. All’interno della gestione dei beni confiscati bisogna lavorare in questo senso. Se ci sono degli interessi che non vanno verso i lavoratori ma verso le lobby.