La Sicilia occidentale rappresenta sempre lo zoccolo duro di Cosa nostra. A Palermo e provincia sono ancora molto radicati i concetti di territorio, di mandamenti e famiglie.
Nel Palermitano Cosa nostra ha subito negli ultimi anni una forte azione investigativa e giudiziaria che ha logorato gli assetti e messo a soqquadro gli equilibri tra le famiglie. Adesso le famiglie sono a lavoro per recuperare supremazia sul territorio. Nel secondo semestre del 2013 la Dia ha evidenziato che le famiglie hanno collaborato tra loro, anche tra quelle di diversi mandamenti, accantonando “in nome dell’affare comune anche contrasti e antichi rancori”. C’è anche l’esigenza di andare fuori dai territori controllati. E per farlo occorre fare i conti con le altre organizzazioni criminali.
Cresce nel secondo semestre dello scorso anno il traffico di stupefacenti. Anche per via dei rischi sempre maggiori dell’attività estorsiva. La droga nel palermitano trova il suo centro di smistamento per l’intera regione. Ed è negli affari legati agli stupefacenti, come è emerso in diverse indagini, che le varie organizzazioni criminali si consociano.
Gira la droga, e girano anche le armi. Nel 2013 nel palermitano sono stati diversi i sequestri di armi da fuoco. E questo ha portato gli inquirenti a stare attenti al rischio dell’esplosione di una guerra di mafia per la leadership. Per ciò che riguarda i reati censiti nella provincia di Palermo, sono in diminuzione danneggiamenti e incendi. Crollano i reati di usura, soprattutto per l’aumento di denunce fatte in questi mesi.
L’altra provincia roccaforte di Cosa nostra è quella di Trapani. Qui l’assetto è tendenzialmente stabile, non si respirano possibili escalation e scontri come a Palermo. Si registra “un’organizzazione strutturata verticisticamente e impostazioni strategiche unitarie”. Qui c’è un capo, ed è ancora latitante: Matteo Messina Denaro.
Questa è la sintesi che fa la Dia della situazione in provincia di Trapani nel secondo semestre.
Sebbene l’azione repressiva abbia imposto fluidità nelle posizioni di comando, i più vecchi esponenti di cosa nostra, anche se detenuti o latitanti, conservano prestigio e autorità e riconoscono la supremazia del boss Matteo Messina Denaro.
Nel semestre, è stato consumato un omicidio che potrebbe ascriversi, per modalità di esecuzione e personalità della vittima, ad un regolamento di conti interno a compagini mafiose (il riferimento è all’omicidio Marino del 3 agosto 2013 in contrada Samperi a Marsala, ndr).
La pratica estorsiva, il traffico di sostanze stupefacenti ed armi, l’infiltrazione nei pubblici appalti, la grande distribuzione agroalimentare, gli insediamenti turistico-alberghieri e le energie alternative costituiscono ancora, come i riscontri giudiziari hanno evidenziato, i principali settori d’interesse di cosa nostra trapanese.
Anche nel trapanese si registrano atti intimidatori e/o danneggiamenti in danno di pubblici amministratori e nei confronti di alcuni magistrati in servizio presso i locali uffici giudiziari.
La cattura di Matteo Messina Denaro rimane un obiettivo primario dell’azione investigativa, perseguito anche attraverso un’opera di sistematica erosione delle connivenze e del favoreggiamento di quanti si adoperano per far proliferare le sue ricchezze e coprirne la latitanza. Al riguardo, si evidenzia che, nell’ambito delle attività volte all’aggressione dei patrimoni illeciti, uno dei provvedimenti di sequestro (per un valore complessivo di un milione di euro) ha riguardato un soggetto, già condannato con sentenza definitiva a dodici anni di reclusione per associazione mafiosa, individuato quale presunto referente economico del latitante.
Inoltre, con l’operazione “Eden”, il 12 dicembre 2013, la D.I.A., congiuntamente ad altre Forze di Polizia, ha tratto in arresto due soggetti, tra cui la sorella di Messina Denaro per estorsione aggravata dal metodo mafioso.