"Per me l'impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze; al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi; al suo richiamarci a una "fame e sete di giustizia" che va vissuta a partire da qui, da questo mondo". Così risponde don Luigi Ciotti, 69 anni, il fondatore dell'associazione "Libera", alle minacce di Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra. "Questo prete - ha confidato il boss corleonese il 13 settembre 2013 ad Alberto Lorusso durante l'ora d'aria nel carcere milanese di Opera - è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi. Ciotti, Ciotti, "putissimu" pure ammazzarlo. È malvagio, è cattivo. Ha fatto strada questo disgraziato.
Con la legge sulla confisca dei beni ai mafiosi, voluta proprio da Libera, oggi centinaia di beni che appartenevano alla mafia, in Italia, sono diventati scuole, teatri, commissariati di polizia, oppure terreni per cooperative agricole di giovani, case famiglia, aziende pulite. «Sono sempre agitato - dice sempre Riina a Lorusso - perché con questi sequestri di beni... Se non fossi in carcere dal ‘93, ci avrei già pensato io a lui». Come a don Puglisi che «il quartiere lo voleva comandare "iddu". Ma tu fatti il "parrino", pensa alle messe, lasciali stare il territorio, il campo, la chiesa».
Nella sue replica Don Ciotti cita pure Don Pino Puglisi: «Riguardo a don Pino Puglisi, che Riina cita e a cui non oso paragonarmi perché sono un uomo piccolo e fragile - continua don Ciotti, ricordando il sacerdote palermitano assassinato il 15 settembre 1993 - un mafioso divenuto collaboratore di giustizia parlò di "sacerdoti che interferiscono". Ecco io mi riconosco in questa Chiesa che "interferisce". Le minacce di Riina dal carcere sono molto significative. Non sono infatti rivolte solo a Luigi Ciotti, ma a tutte le persone che in vent'anni di "Libera" si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza. Solo un "noi", non mi stancherò di dirlo, può opporsi alle mafie e alla corruzione. "Libera" è cosciente dei suoi limiti, dei suoi errori, delle sue fragilità. Per questo ha sempre creduto nel fare insieme, ha creduto che in tanti possiamo fare quello che da soli è impossibile. Le mafie sanno fiutare il pericolo. Sentono che l'insidia, oltre che dalle forze di polizia e da gran parte della magistratura, viene dalla ribellione delle coscienze, dalle comunità che rialzano la testa e non accettano più il fatalismo, la sottomissione, il silenzio». «Le minacce di Riina - prosegue don Ciotti - sono la prova che questo impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi. Siamo al fianco dei familiari delle vittime, di chi attende giustizia e verità, ma anche di chi, caduto nelle reti criminali, vuole voltare pagina, collaborare con la giustizia, scegliere la via dell'onestà e della dignità. Molti familiari vanno nelle carceri minorili dove sono rinchiusi anche ragazzi affiliati alle cosche. La mafia non è solo un fatto criminale, ma l'effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune. La politica deve fare di più. Ci sono provvedimenti urgenti da intraprendere e approvare senza troppe mediazioni e compromessi. Ad esempio sulla confisca dei beni, che è un doppio affronto per la mafia, come anche le parole di Riina confermano. Quei beni restituiti a uso sociale segnano un meno nei bilanci delle mafie e un più in quelli della cultura, del lavoro, della dignità che non si piega alle prepotenze e alle scorciatoie. Lo stesso vale per la corruzione, che è l'incubatrice delle mafie. C'è una mentalità che dobbiamo sradicare, quella della mafiosità, dei patti sottobanco, dell'intrallazzo in guanti bianchi, della disonestà condita da buone maniere. La corruzione sta mangiando il nostro Paese, le nostre speranze! Corrotti e corruttori si danno manforte per minimizzare o perfino negare il reato. Ai loro occhi - conclude don Ciotti - è un'azione senza colpevoli e dunque senza vittime, invece la vittima c'è, eccome: è la società, siamo tutti noi».