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03/10/2014 06:45:00

Protocollo Farfalla, interviene Fava. Sabella: "Fonti inquinate"

 Il vicepresidente della commissione Antimafia: "Temiamo che il governo Berlusconi nel 2004 volesse intercettare eventuali intenzioni di collaborazione dopo il caso Giuffrè. Impossibile che presidente del Consiglio non sapesse dell'accordo Dap-Sisde"

“Temiamo” che la collaborazione tra amministrazione penitenziaria e Sisde “sia servita ad intercettare eventuali intenzioni di collaborazione dopo la ‘sfortunata’ vicenda di Giuffrè che raccontò i rapporti tra la politica e Cosa Nostra in Sicilia e non solo”. E’ questa la preoccupazione espressa dal vicepresidente della commissione Antimafia Claudio Fava in una conferenza stampa sul Protocollo Farfalla, l’accordo stretto tra il 2003 e il 2004 – all’epoca del secondo governo Berlusconi – tra Dap e Servizi segreti civili guidati da Mario Mori per il controllo, da parte degli 007, delle informazioni che provenivano dai detenuti nelle carceri di massima sicurezza. Il documento – sei pagine – è ora agli atti del processo in corso a Palermo sulla Trattativa Stato-mafia. Il vicepresidente della commissione antimafia lo definisce “una sorta di Gladio delle carceri”.

“Il Protocollo Farfalla – ha spiegato Fava – ha un precedente che è l’arresto nel 2002 di Giuffrè, capomafia siciliano, uomo introdotto nei segreti della cupola dei corleonesi. Giuffrè nel 2003 decise di iniziare a collaborare. Le informazioni che vennero fuori riguardavano la possibilità di un rapporto tra la genesi di Forza Italia” e i corleonesi. “E’ chiaro che per un Governo la preoccupazione che altri collaboratori di giustizia parlassero era reale. E’ di quegli anni la scelta di istituire il Protocollo Farfalla, con un atto scritto che disciplinava nel dettaglio i rapporti tra il Dap e il Sisde”.

E se i magistrati non erano stati informati dell’esistenza del protocollo, “ho ragione di pensare – ha proseguito Fava – che sia stato ben informato il presidente del consiglio dell’epoca, Silvio Berlusconi: mi sembrerebbe inconsueto e poco probabile che un protocollo così impegnativo per conseguenze e rischi sia stato condotto per un arco di tempo abbastanza ampio all’insaputa del capo del governo”. “Si tratta – ha chiarito Fava – di una vicenda nata molti anni fa e molto opaca. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha avuto il merito di aver tolto il segreto di stato in luglio sugli atti relativi a questo protocollo, ma da allora la commissione Antimafia non ha ricevuto nulla e sono trascorsi quasi tre mesi. Molto di quello che abbiamo appreso in questi giorni non è stato detto dall’ex ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, sentita in modo specifico anche su questo tema alla fine dello scorso anno. Il ministro disse di non aver alcuna informazione”.

“Pensiamo – ha spiegato – che sarebbe stato dovere dell’allora direttore del Dap e dei vertici del Sisde mettere al corrente anche l’autorità giudiziaria mentre nulla sia è saputo, è stata negata esistenza del protocollo ed è grave che questi detenuti siano stati gestiti e pagati nell’ignoranza totale da parte di tutti i magistrati che su di essi indagavano”. Il dubbio, per Fava, è che l’operazione farfalla sia servita “a capire chi intendeva collaborare, cosa voleva dire, e forse a organizzare qualche depistaggio“.

“Il direttore del Dap Tamburino - ha proseguito Fava – in audizione al Copasir (l’organismo di controllo sui Servizi segreti, ndr) ha spiegato ‘non c’è alcun Protocollo Farfalla, né vi sono evidenze cartacee”, aggiungendo che dell’argomento ha preso conoscenza attraverso i giornali. Questi sono comportamenti gravi – ha chiosato il vicepresidente della commissione Antimafia – mezze verità. Ci raccontano di una vicenda antica che coinvolge Sisde e Dap, sottratta a qualsiasi controllo della magistratura”.

SABELLA. ''Del protocollo Farfalla io ne avevo sentito parlare tanto tempo fa: è una delle operazioni mediante cui si entra nelle carceri, si recuperano informazioni e in qualche modo vengono utilizzate per fini di cui l'autorità giudiziaria non è mai a conoscenza". Lo dice il giudice Alfonso Sabella, ex pm a Palermo ed ex capo del servizio ispettivo Dap.
''Mi sconvolge il fatto - aggiunge - che si agisca su possibili potenziali fonti di prova della magistratura inquinandole alla radice''.