Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
19/10/2014 03:19:00

Ecco perchè Cuffaro resta in carcere. E adesso si indaga sul suo patrimonio

 otò Cuffaro resta in carcere, e non va ai servizi sociali, perché non ha collaborato con i pm. È questa la principale motivazione alla base del diniego pronunciato dalla Corte di Cassazione rispetto all’ipotesi di affidamento in prova dell’ex governatore della Sicilia, detenuto in seguito a una condanna definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Cuffaro, spiegano i giudici supremi, non avrebbe fatto i nomi di chi, "all’interno degli uffici di Procura o all’interno delle forze dell’ordine", gli forniva le informazioni utili per aiutare il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro a sottrarsi alle indagini. Anche e soprattutto per questa mancanza di collaborazione, la Cassazione ha confermato il "no" all’affidamento in prova ai servizi sociali chiesto dall’ex presidente della Regione Sicilia. Le motivazioni della sentenza emessa nell’udienza dello scorso 3 ottobre, conclusasi con il rigetto del ricorso di Cuffaro, difeso dall’avvocato Maria Brucale, sono state depositate ieri.

A nulla è servito, al legale dell’ex governatore, far presente che se anche Cuffaro facesse i nomi dei pubblici ufficiali "spioni", i reati sarebbero ormai prescritti. In proposito gli ermellini hanno replicato che, innanzitutto, una volta individuati, gli altri complici potrebbero anche voler rinunciare alla prescrizione che, quindi, non è un argomento del quale Cuffaro può servirsi per difendere la sua scelta di tenere la bocca chiusa. Inoltre, la Cassazione rileva che "una volta che la loro identità sia stata rivelata" da Cuffaro, "la legge non richiede, ai fini della collaborazione, il concorso della condizione negativa che non sia scaduto il termine della prescrizione".

Dunque, l’ex governatore è sempre in tempo a raccontare ai magistrati tutto quello che sa sui pubblici ufficiali infedeli che con lui avevano messo a punto "uno stabile sistema di controinformazione" a vantaggio dei mafiosi. Inoltre, anche ammettendo che per Cuffaro sia reale l’ipotesi, sostenuta dal suo legale, della "impossibilità della collaborazione" per quanto riguarda i reati commessi con l’aggravante mafiosa, la Cassazione sottolinea che una tale eventualità "non esclude la negativa rilevanza della omessa collaborazione" per gli altri delitti non aggravati e pertanto "non ostativi" all’affidamento in prova. In pratica, siccome l’atteggiamento collaborativo viene valutato nel suo insieme, con riferimento a tutti i delitti commessi - aggravati, e non - la mancata collaborazione a tutto campo, della quale ha dato prova Cuffaro, è un elemento "negativo" anche qualora fosse esigibile per i soli reati "semplici". Così è stata confermata l’ordinanza con la quale il Tribunale di Sorveglianza di Roma, lo scorso 17 dicembre, aveva detto "no" all’uscita dell’ex governatore siciliano dalla cella.

Intanto, dopo la conferma del carcere, la Procura di Palermo continua ad indagare su Cuffaro, questa volta passando al setaccio i suoi beni, intestati a lui o ai suoi familiari ma anche quelli a lui riconducibili per capire se vi sia una sperequazione tra la sua capacità legittima di reddito e il patrimonio effettivamente accumulato. La misura di prevenzione personale e patrimoniale, finalizzata al sequestro, è stata affidata al sostituto procuratore Sergio De Montis che coordina il lavoro di un pool di investigatori del Gico della Guardia di finanza specializzato nella ricostruzione dei patrimoni occulti. 

Presupposto del procedimento è la pericolosità sociale di Cuffaro, già sancita dalla sentenza penale definitiva. Prima della condanna definitiva, arrivata a gennaio 2011, il pool criminalità economica della Dda di Palermo aveva assegnato alcune deleghe, ma l’indagine non è mai andata avanti. Ora il nuovo pool del Dipartimento misure di prevenzione coordinato dal procuratore aggiunto Dino Petralia ha attivato una ricognizione a 360 gradi del vasto patrimonio attribuibile all’ex presidente della Regione.